Cerca nel blog

lunedì 31 ottobre 2016

L'Inter che poteva essere




Riavvolgiamo il nastro.
Siamo a inizio giugno, sta per iniziare Euro 2016, state pensando alle meritate vacanze estive e nel frattempo l'Inter in Cina sta celebrando la transizione che porta Suning a capo della Società nerazzurra: arrivano i soldi, arrivano le competenze, arriva la chiarezza ergo arriveranno i risultati.
Tutte le componenti della Società hanno apparecchiato il nuovo corso preparandolo all'insediamento con il massimo del tempismo decisionale. Roberto Mancini non è riuscito ad agganciare il posto in Champions League e dopo qualche giorno di colloqui la decisione è presa: dividiamo le strade ora, per il bene dell'azienda e della squadra in cui ci troviamo, e facciamolo prima che sia troppo tardi per organizzare un nuovo corso.
La Società ha programmato da tempo questo passaggio, ha già allertato da tempo il nuovo allenatore e sottotraccia ha già iniziato a cercare dei giocatori compatibili con le esigenze della Società tanto quanto col progetto tecnico dell'allenatore, che sono certi di aver recepito perfettamente prima di sceglierlo.


Mentre l'attenzione di tutti è concentrata sulla gradevole Italia di Conte nella sua avventura in Francia, l'Inter consegna la sua squadra al nuovo allenatore e nel contempo fa avere un messaggio a tutti i giocatori, quelli che sono in vacanza e quelli che sono con la propria rappresentativa: "Abbiamo un nuovo allenatore, crediamo in lui per tornare in alto, avete tre mesi di tempo per decidere se remare dalla sua parte o chiederci la cessione: fate la vostra scelta confermandoci preventivamente di avere ben chiare le condizioni societarie, perché quanto vi abbiamo detto non cambierà nel tempo."
De Boer si presenta a inizio giugno preparandosi qualche parola in un discreto italiano che aveva già iniziato a studiare sapendo che la sua nuova avventura sarebbe iniziata da lì a poco. I giornalisti presenti in sala non ridacchiano, ma anzi apprezzano di essere stati tolti dall'imbarazzo di dover parlare in inglese in diretta.


 L'estate e il mercato si trascinano fino alla fine di Agosto, con De Boer che ha instillato i suoi dettami nei giocatori che li hanno voluti recepire ed ha congedato con una pacca sulla spalla e tanti auguri di buona fortuna i giocatori che invece sono rimasti fedeli a concetti tattici e disciplinari ormai vetusti.
La Società, che nel frattempo si è riorganizzata nell'organigramma, organizza un meeting al giorno con il nuovo tecnico, con un'agenda chiara e definita: A che punto siamo, a che punto dobbiamo essere, cosa possiamo fare sul mercato, cosa possiamo sistemare nella rosa, cosa possiamo fare per mettere l'allenatore nelle condizioni ideali per svolgere al meglio il suo lavoro.

Strano, vero?
A guardare fuori dalla finestra oggi, con la nebbia autunnale, le foglie per terra e 14 miseri e piangenti punti in classifica facciamo mente locale e ci accorgiamo che non è successo niente di tutto questo.
De Boer è stato preso tardivamente e gli è stato detto pressappoco: "Questa è la Pinetina, questa è la squadra, questo è Thohir e adesso la salutiamo e le diamo carta bianca, faccia quello che crede, contiamo su di Lei: arrivederci."
I giocatori si sono ammutinati perché vogliono giocare in maniera diversa o forse non sono uniti nemmeno in questo, forse siamo arrivati al punto che ognuno è l'allenatore di se stesso, di certo sappiamo che non esiste una figura autorevole riconosciuta da questi giocatori.
A proposito di ingranaggi disuniti, alle spalle del palcoscenico c'è una Società che da almeno tre mesi è un'accozzaglia di dirigenti che cercano una fetta di potere decisionale senza mai arrivare ad un trait d'union: a partire dalla gestione estiva di Icardi, a cui Ausilio non avrebbe mai concesso il rinnovo mentre dall'Oriente arrivava l'input esattamente opposto, per arrivare alla scelta dell'allenatore che alla parte italiana della dirigenza è andata di traverso fin dal primo giorno.
Uniti su niente e nessuno, ingolositi da un effettivo vuoto di potere in cui ognuno cerca di inserirsi alla ricerca del suo posto al sole vedendo il resto dell'impianto dirigenziale come una minaccia, o come una frangia distaccata che porta incidentalmente gli stessi colori.
L'Inter oggi è come lo slogan di quella parodistica gag sulla Casa delle Libertà in una trasmissione di tanti anni fa: "facciamo un po' come cazzo ci pare", concetto che vale dal Presidente con quota di minoranza che sceglie il corso tecnico tagliando fuori il resto del suo staff a uno come Eder che manca di rispetto all'allenatore in diretta TV rifiutando la stretta di mano.

Chiunque voglia ancora pensare che le cose non stiano effettivamente così è nascosto dietro ad un vetro sperando di non essere visto e rifiutandosi di vedere la situazione nel suo complesso, in cui può scendere ad allenare l'Inter pure Gesù Cristo in tunica e sandali, giocarsi due-tre miracoli nelle prime settimane ed arrivare infine alla resa dei conti con una Società che di fatto non esiste.
Non è una teoria senza riscontri, ma la storia degli ultimi 5 anni.

Io non ce l'ho una soluzione amici. A perdere continuamente, svogliatamente, inesorabilmente mi verrebbe perfino voglia di radere al suolo il club, ricominciare daccapo e fare le cose per bene.
Sono spettatore del cantiere di quella che dovrebbe essere casa mia e vedo che quando finiscono di mettere su i pali portanti, arriva qualcuno a dire che in realtà i pali vanno messi un metro più in là e butta giù tutto; quando sono un metro più in là arriva qualcun altro a dire che vanno messi cinque metri più in là e butta giù tutto; quando sono cinque metri più in là arriva qualcun altro a dire "guardate che stiamo costruendo un condominio, mica una casa" e butta giù tutto.
E io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni che il problema di base non sono né i pali portanti né il progetto su carta, bensì l'assenza totale di fondamenta su cui poggia tutta la struttura.
Io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni una data di fine lavori che continua ad essere corretta e posticipata sempre un anno o due più in là, sempre lì a vedere solo ed unicamente il punto zero senza mai arrivare ad un punto uno, sempre lì a dover ascoltare perplesso chi sta nella mia situazione e mi parla di come arredare una casa che non esiste.


Forse ho alzato bandiera bianca, forse non sono più in grado di costruire un'analisi di una realtà frustrante a cui si aggiunge la frustrazione di vedere gente incapace di viaggiare sulla lunghezza d'onda di un progetto unico e condiviso.
Mi allontano dal cantiere pensando alla casa che poteva essere e non sarà, poco dietro di me l'ennesimo capo cantiere, di nome Frank, è stato rimosso dall'incarico e mi guarda cercando una risposta.


Vai a costruire la tua casa solida e funzionale altrove, Frank, hai tutte le capacità per farlo.

Non qui, non adesso, non così.
Se mai riusciremo ad avere un tetto di nome Inter sulla testa, magari quel giorno ti inviteremo a cena ricordando assieme quei tempi in cui ti ordinarono di costruire in due mesi una cattedrale su una discarica.


mercoledì 26 ottobre 2016

Ci meritiamo una Società




Ma chi accidenti comanda all’Inter?
La domanda mi perseguita da ormai dieci giorni e mentre la risposta continua ad essere latente, la squadra continua a giocare partite senza capo né coda e non c’è tregua da un calendario che ci mette nelle condizioni di andare alla berlina ogni tre giorni.
Dal giorno di ordinaria follia alla settimana di dolce fare niente, almeno in funzione alla stabilità della baracca in mezzo alle scosse sismiche provenienti da ogni dove, il passo è stato breve e siamo arrivati al solito vecchio bivio: cambiare allenatore o non cambiare allenatore?
Il saldo della classifica è in forte deficit e se fossimo fermi agli anni ’90 probabilmente non ci sarebbero dubbi sul da farsi, eppure in questi giorni il tifoso medio dell’Inter sta per la prima volta unendo con decisione i puntini che la gestione sportiva del post triplete ha lasciato per strada; il disegno che ne viene fuori è inequivocabile e dice tra le righe che ci meritiamo una Società, se veramente vogliamo arrivare ai successi che si addirebbero al nostro blasone ed albergare nelle zone nobili per più di qualche settimana.

Se non fossero bastati gli 8 tecnici transitati in 6 anni, la situazione in cui siamo finiti con tutte le scarpe smaschera senza alcuna pietà l’andamento di una Società del tutto evanescente nelle cose veramente importanti della gestione sportiva; mi inquietano in particolare le troppe zone di grigio presenti nelle sfumature di una dirigenza in cui dall’esterno non è chiaro chi faccia o debba fare cosa.
Prendiamo ad esempio Ausilio: ufficialmente lui è un DS, quindi ciò di cui dovrebbe rispondere è soprattutto il mercato e la rappresentanza della squadra nei rapporti tecnici con altri club, ma nella realtà dei fatti è l’uomo che con i media cerca di barcamenarsi nel rispondere dei problemi che vengono a galla nella Società per i più disparati motivi. In più, una buona parte della strategia nell’ultimo calciomercato è stata tolta dal suo controllo in vece di Kia Joorabchian che ha curato ad esempio con dovizia di dettagli tutto l’affare che ha portato Joao Mario all’Inter.
Perché succede questo? Semplice, perché l’Inter non ha un Direttore Generale che risponda all’esterno dei vari problemi che iniziano con la gestione sportiva e sconfinano in un ambito estremamente più aziendale. Michael Bolingbroke, che dell’Inter è Amministratore Delegato(CEO) da diverso tempo è in questo senso un fantasma: leggiamo una volta ogni due-tre mesi, da testate quasi sempre estere, dichiarazioni su quanto siamo bravi a beccare sponsor in giro e di quanto la nostra gestione economica sia in continuo miglioramento, ma sulla gestione sportiva che dovrebbe rappresentare il Core Business di una Società come l’FC Internazionale Mr. Bolingbroke è completamente assente.
L’altra carica che potrebbe sconfinare in compiti da DG, il Chief Operating Officer, è ricoperta da Alessandro Antonello che in termini di rappresentanza pubblica non è mai esistito e sospetto peraltro che una buona percentuale di tifosi dell’Inter nemmeno sa che esiste.
Così è Ausilio a dover fare il DG ad Interim senza avere ancora maturato la preparazione ed il pragmatismo che necessita un ruolo di questa caratura, con gli effetti nefasti che abbiamo ad esempio visto nella gestione dell’ultimo caso Icardi.
Rifletteteci un attimo: quanti di voi sanno che faccia ha il DS della Juve Paratici senza aiutarsi con Google Immagini? Uno come Paratici, ad esempio, non si vede e non si sente se non in collegamento alla sua area di responsabilità (il mercato), con il resto del “lavoro sporco” assegnato al DG ed AD Giuseppe Marotta che invece il pubblico conosce alla perfezione.
Quindi delle due l’una: o Ausilio viene promosso DG o torna a fare il DS nominando un CEO che sia in grado di fare il CEO a 360°. Niente zone di grigio, niente improvvisazione: ciò che dovremmo riconoscere in ogni Società internazionale di questa caratura.

Alessandro Antonello, Chief Operating Officer dell'Inter: quanti di voi sapevano che faccia avesse?

Giovanni Gardini, Chief Football Administrator dell'Inter: quanti di voi hanno capito le sue competenze?
A proposito di sfumature, due grandi misteri aleggiano nel board nerazzurro: Javier Zanetti, che non ha alcuna formazione da dirigente, viene spesso imbeccato dalla telecamera a parlare in nome e per conto dei vertici societari: perchè? Sappiamo che è vice-Presidente, ma sappiamo anche che il suo ruolo deve essere di mera rappresentanza e/o vicino alle dinamiche del campo di cui dovrebbe conoscere più o  meno tutto, soprattutto all’Inter. Quali sono dunque le sue responsabilità? Quale la sua “mission”? Mistero, almeno per me.
Parlando di misteri, mi viene spontaneo pensare a Giovanni Gardini: lui è il “Chief Football Administrator”, una carica che per quanto ne so esiste solo all’Inter.
Gardini si presenta a marzo, rilascia alcune dichiarazioni alla conferenza stampa di presentazione, dopodiché sparisce nell’anonimato più totale a livello di rapporti mediatici e di risonanza pubblica nel rappresentare l’Inter.
Se pensiamo che questo ingresso negli intenti andava a sostituire quello di Fassone, il mistero aumenta: abbiamo un Chief Executive Officer, un Chief Operating Officer, un Chief Football Administrator e nessuno dei tre sembra avere alcuna responsabilità da prendersi quando le cose nella gestione sportiva iniziano a girare per il verso sbagliato.
Thohir saluta De Boer nel giorno del suo arrivo: dov'è ora il Presidente dell'Inter?
Ecco qua la parola chiave di tutta la vicenda: Responsabilità.
Responsabilità, quindi rischio, dovrebbe essere normalmente la priorità di qualunque carica presente in organigramma; all’Inter la storia degli ultimi 6 anni dice invece che la Responsabilità, quindi il rischio, legata all’intera gestione sportiva grava interamente sulle spalle dell’allenatore di turno.
Diventa così evidente il fatto che anziché cercare di prevenire i fulmini, si preferisce farli cadere costantemente usando l’allenatore come parafulmine; questo ruolo è stato svolto per diverso tempo da Mancini il quale però ha preteso che in cambio dell’assunzione di un rischio che non doveva essere completamente suo, avrebbe dovuto altresì avere un ruolo decisionale di un certo peso nell’ambito della gestione sportiva (leggi calciomercato). Un concetto che ci potrebbe anche stare in senso logico, ma che non ne ha alcuno sul piano aziendale: il dirigente è il dirigente, l’allenatore è l’allenatore. Altre zone di grigio che a un certo punto hanno imposto di essere trasformate in bianco o in nero da Thohir, che ha scelto la versione scura, mettendo la firma in calce sulla tardiva transizione che ha portato De Boer nel ruolo che ricopre ora.
Ora che le cose nella gestione sportiva vanno male, dov’è Thohir? Non certo fianco a fianco con l’allenatore da lui scelto nonostante la quota minoritaria all’interno dell’Inter, lui che in questo momento riesce ad essere Presidente ed a mantenere lo stesso peso decisionale nonostante il suo rischio d’impresa sia notevolmente diminuito nella transazione con Suning. L’ennesima anomalìa che presenta il conto dei suoi effetti negativi quando ci sono da superare gli ostacoli, l’ennesima zona di grigio che permette di scaricare l’assunzione di responsabilità nel momento in cui è inevitabile farlo.


De Boer all’interno dell’Inter è un uomo solo, come a suo tempo lo furono Mazzarri, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni e via dicendo. A loro l’ingrato compito di presentarsi in tv dopo una sconfitta a scusarsi con i tifosi ed ad asserire, velatamente o meno, che in fondo era tutta colpa loro.
Alla luce di questo desolante background vi chiedo, amici nerazzurri: come potremmo vedere in campo qualcosa di diverso? Come potremmo aspettarci una squadra coesa ed unita nel momento in cui questa squadra vede l’esatto contrario da parte della propria dirigenza?
A Bergamo De Boer l’ha detto chiaramente, in campo alcuni volevano fare una certa cosa ed altri volevano fare l’esatto contrario: ecco perché la nostra impressione quando rotola il pallone è che questa squadra si conosce da cinque minuti e non da almeno un anno e mezzo, con l’eccezione delle partite tipo Inter-Juventus in cui le motivazioni sono sufficientemente ampie da nascondere per 90 minuti i problemi atavici che attanagliano il contesto Inter e di cui l’allenatore di turno è da sempre ostaggio.
Ecco perché poi arriva il Miranda di turno a smentire pubblicamente l’allenatore di turno sulle idee di gioco, perché c’è qualcuno alle spalle che gli consente di farlo: quando ognuno sente di potersi prendere qualunque libertà, in qualunque contesto di lavoro, normalmente la prima cosa che viene a mancare è l’impegno ed i risultati di tutto ciò sono sotto i nostri occhi.


C’è però una variabile importante in tutto questo: i tifosi hanno iniziato a capire con molta chiarezza che se transitano 8 allenatori in 6 anni il problema di fondo non è l’allenatore.
Hanno iniziato a capire che nella distribuzione delle colpe va allargata la visuale e coinvolto chi ha la responsabilità di mettere la squadra nelle condizioni giuste per poter essere o diventare una squadra.
Hanno iniziato a capire tutto questo proprio perché, complici la lunga epopea del Fairplay finanziario ed i due passaggi di consegne societari con annesse dichiarazioni sui piani aziendali, la Società stessa li ha messi nella condizione di ampliare il proprio range di informazioni non limitandosi più a guardare la partita, ma andando anche a voler capire qual è il modello di business che l’Inter segue per tornare ad ambire a determinati traguardi.
E anche se nessun tifoso ha capito fino in fondo che direzione stia seguendo l’Inter, alla maggior parte di loro è ben chiaro che arrivati a questo punto la responsabilità delle loro frustrazioni sportive non può più essere una croce da scaricare addosso ad un allenatore la cui idea di calcio, soprattutto in Italia, richiede tempo, pazienza e qualche passaggio nelle asperità che stiamo testimoniando in queste settimane. Chiunque, ma dico chiunque, segua il calcio italiano anche nella maniera più superficiale possibile sapeva ad Agosto che prendere Frank de Boer equivaleva a piazzare una scommessa il cui cash- out non sarebbe arrivato prima di un tempo stimabile tra i 6 mesi e l’anno.
Oggi il motto dei tifosi è #IoStoConDeBoer e forse non perché lo ritengano il miglior allenatore dell’universo, ma perché pretendono che l’assunzione di responsabilità sia una cosa da prendere molto seriamente all’interno di una Società ambiziosa tanto quanto la sua tifoseria.

In parole semplici, la festa è finita: se nella stanza dei bottoni dell’Inter piace pensare ad un modello aziendale di tipo anglosassone, come mi è parso di capire, mettano in piedi una RACI chart che definisca in modo inequivocabile chi è responsabile, chi deve portare risultati, chi deve essere consultato e chi deve essere informato e che faccia tremare con veemenza le varie poltrone dirigenziali nel momento in cui le responsabilità vengono a mancare.
Non possono e non devono pensarci i tifosi, che alle soluzioni per la squadra pensano forse anche di più della stessa dirigenza.

Il messaggio deve risuonare forte e chiaro: ci meritiamo una Società.
La svolta vera e tangibile può iniziare solo da qui.

lunedì 17 ottobre 2016

Un giorno di ordinaria follia




Dopo due settimane di stacco, che mi ha visto in tutt'altre faccende affaccendato, mi incantava l'idea di tornare a scrivere di Inter e di analizzare passi avanti e passi indietro, vizi e virtù, scenari futuri e problemi attuali di tattica o di cose che comunque rimandano al campo.
Invece mi tocca dover commentare, con malcelato sgomento, un giorno di ordinaria follia a Tafazziland in cui nessuna delle parti in causa sembra aver capito il significato del concetto "fare il bene dell'Inter".
A prescindere da torto e ragione, la gestione del caso Icardi ricaccia al punto zero ogni bella parola spesa per una Società che sembrava aver trovato la sua identità e capacità di prendersi responsabilità e decisioni nel momento giusto. 

Tralasciando ogni commento sulla tempistica della Curva Nord nell'apparecchiare un pomeriggio tra il surreale e il grottesco, andando a cercare le ragioni di cotanta mobilitazione si trova un episodio risalente a un anno e mezzo fa che era già stato ampiamente chiarito e su cui Icardi nel libro incriminato ammette già il suo errore nel mettere esageratamente sul personale la questione e nell'effettuare esternazioni da malavitoso del Barrio. 
A mio avviso niente di così grave per cui dover organizzare tra la notte del sabato e il pomeriggio di domenica la fitta sassaiola dell'ingiuria ai danni del Capitano di una squadra che già aveva qualche problema di equilibrio da risolvere e che soprattutto la partita in casa col Cagliari la doveva vincere senza mezzi termini.
La Nord non ne fa una questione prettamente personale, perchè non cerca il confronto con la Società prima che il caso possa danneggiare gli sforzi collettivi verso la vittoria, ma spiattella ogni cosa su pubblica piazza creando nei fatti un problema molto serio a tutto l'ambiente che arriva alla partita con il Cagliari trapassato malamente da faide intestine, la cui lavanderia è il pubblico di ogni fazione ed estrazione che viene imbeccato da giornali, media, opinionisti. 
Figurati se questo parterre de roi si può far sfuggire l'opportunità di mettere i fiocchetti ad un caso che per una volta non deve essere architettato artificialmente, ma viene servito sul piatto d'argento.

Il risultato di tutto questo sul campo è desolante: l'Inter gioca in 10 perchè il bersaglio mobile Icardi non entra mai in partita, sbaglia malamente un rigore che in altra situazione avrebbe quantomeno centrato la porta, riceve l'applauso di conforto dei settori al di fuori del tifo organizzato e testimonia l'esultanza di chi ha perso la bussola e gode di un rigore (peraltro molto generoso) sbagliato da chi indossa i suoi stessi colori.
La Società che fa? Attraverso le parole di Zanetti avalla ed appoggia una situazione che altrove sarebbe materiale da psicanalisi, facendo intendere che ci vogliono provvedimenti per accontentare i tifosi.
Ma allora di quali tifosi parliamo? Dei 4000 che hanno trascorso il loro pomeriggio in assetto da battaglia contro il singolo fregandosene di tutto il resto o dei restanti 39mila che hanno invece trascorso un pomeriggio da sostenitori, incoraggiando la squadra senza creare una situazione di disturbo?
Urge creare una distinzione sia in termini che in fatti, se un decimo del pubblico presente per lo stesso motivo degli altri ha l'autorità di decidere per tutti cosa si deve o non si deve fare, creando peraltro un pericoloso precedente.
Cos'è cambiato rispetto a due anni fa, quando la Curva criticava il resto dello stadio che voleva fare la pelle a Mazzarri utilizzando concetti come "se noi vediamo un amico (riferito all'Inter, ndr) in difficoltà lo aiutiamo a respirare invece di togliergli l'ossigeno"?

A dare il colpo di grazie alla credibilità dirigenziale nei confronti di questa situazione, che avrebbe potuto essere già sgonfia alle due di pomeriggio leggendola dalla prospettiva del bene della squadra, un Ausilio che sugli schermi di tutta Italia ammette candidamente che non sa chi si doveva prendere la responsabilità di leggere un libro che la Società stessa ha promosso attraverso il sito e i canali social; un po' come se nella brochure di un prodotto lanciato sul mercato si facesse riferimento al fatto che il prodotto fa schifo e nessuno si accorga di mandare in stampa una bomba ad orologeria che finisce per svolgere la funzione contraria a quella di qualsiasi logica, d'immagine e commerciale.
Anche se il problema fosse il passaggio incriminato del libro, nel passaggio stesso si fa riferimento a un colloquio con la dirigenza dopo i fatti di Reggio Emilia (febbraio 2015) in cui si pronuncia l'infelice frase "porto 100 criminali argentini": dunque chi ha perso la memoria riguardo quella conversazione? E perché la punizione per Icardi non scattò nei tempi e nei modi giusti? Se si riteneva 20 mesi fa che l'episodio fosse grave tanto quanto lo si sta ritenendo adesso, perché Icardi ha ricevuto i galloni da capitano dopo quel fattaccio?
Bisogna prenderne atto: la Società non poteva e non doveva essere ignara dei contenuti del libro, soprattutto dopo tutto il background che si è creato con Icardi e moglie in estate.
L'autogol che infine premia il Cagliari a scapito di un'Inter che a quel punto era già da un pezzo con la testa fuori dalla partita, tra compattezza inesistente e lettura dell'allenatore ancora una volta discutibile, è la cartina tornasole di una folle domenica in cui tutti gli autogol che si potevano fare sono stati fatti.
Per tacere del post partita, a cui ho già alluso citando Ausilio, del raid sotto casa di Icardi con il velato placet societario, indegno di qualsiasi contesto sociale civilizzato e delle ulteriori dichiarazioni della Nord riportate da Calciomercato.com secondo cui "se ripubblichi il libro senza le pagine incriminate, ti perdoniamo".
Ma allora, fatemi capire: è una questione di onore o di Content Marketing?
E se poi Icardi dovesse obbedire e venisse perdonato, come la mettiamo con la fascia? Torna sul suo braccio, magari dopo aver preso atto che questa decisione se ritenuta necessaria andava presa in estate in autonomia?
Hai voglia a ciarlare dei 20 milioni di potenziali tifosi da raggiungere in Asia, se gli input decisionali poi devono arrivare da 4000 locali.


Dopo un giorno così in un'azienda normale di questa portata si fa una plenaria straordinaria, anche di notte se necessario, e si decide quale testa deve rotolare prima ancora che i giornali siano in edicola.
Ed è vero, vi comprenderò se mi direte "non venirci a raccontare/quello che l'Inter deve fare/ perché per noi niente è mai normale."
Concedetemi però la fermezza nell'asserire che qualcuno a prendersi la briga di raccontare quello che l'Inter deve fare, prima o poi, in questa Società deve necessariamente comparire.

lunedì 3 ottobre 2016

Incidente di percorso



Una partita come Roma-Inter è difficile da analizzare razionalmente, perché non ha avuto un solo tratto distintivo di una partita di Serie A, soprattutto di cartello.
Squadre lunghe, spesso sfilacciate, difese allegre e un risultato che avrebbe potuto venire fuori da un vastissimo range di possibilità, indirizzate dalla buona vena dei due portieri che hanno evitato il peggio più e più volte.
Sabato, per dire, ho avuto il piacere di seguire Bayer Leverkusen-Borussia Dortmund, big match di Bundesliga e dalla pioggia di occasioni che mi aspettavo è venuta fuori invece una partita tatticamente meticolosa soprattutto da parte dei padroni di casa: la partita italiana sembrava quella.

Roma-Inter ha in realtà smascherato diversi problemi che attanagliano entrambe le squadre, con la differenza che i giallorossi si portano a casa tre punti e potranno pensarci di meno.
A questo punto della stagione tuttavia rimango perplesso di fronte a chi mi parla di problemi di classifica:  sarà forse un problema avere il Milan sopra una giornata dopo essergli stati davanti a maggio per tre anni di fila, nonostante tutti i problemi incontrati? 

Sarà forse un problema guardare una classifica che al 2 ottobre ci vede a 3 punti dall'obiettivo secondo posto, quando nella scorsa stagione si riteneva possibile rimontarne 5 alla Roma all'alba di metà aprile?
Siamo talmente ossessionati dai numeri che qualcuno ha addirittura suggerito il catenaccio e contropiede per firmare in anticipo il compromesso di uscire dall'Olimpico con almeno un punto: per me è un potente e convinto NO.
No, perché andiamo da anni alla ricerca disperata di un'identità che mai negli ultimi 5 anni ha avuto contorni precisi e sacrificare ora lo stile identitario che si vuol dare, per prendere in cambio un punto a Roma alla settima giornata, è un ritorno ad una mentalità provinciale che non ci deve più riguardare.
No, perché se non passi dagli incidenti di percorso quando vai a confrontarti con i tuoi competitors non capirai mai come batterli soprattutto sul lungo termine. Abbiamo già visto lo scorso anno che gli schieramenti speculari all'avversario possono funzionare finché il gioco non viene capito da tutti, per ritrovarsi poi senza più certezze ed armi per ribaltare il corso degli eventi, con conseguenze nefaste.

Tutti voi siete in grado di dire immediatamente come giocano il Napoli di Sarri e la Roma di Spalletti, perchè il loro stile è sempre quello ed è rimasto immutato: io esigo che l'Inter, per il suo status e il suo blasone, sia in grado di affiancarsi a queste squadre con una sua riconoscibile identità e non che vi rinunci per prendere il pareggino che lascia tranquillo il tifoso solo perchè la classifica di inizio ottobre poi sarà più confortevole. 
Così è vivere alla giornata e navigare a vista senza sguardi sul domani e prima o poi arriva il momento in cui i compromessi stanno a zero perchè se sei l'Inter nessuno ti affronta a cuor leggero.
Ieri è andata male per tanti motivi che vedremo tra poco, ma nonostante le cose si stessero mettendo nel verso sbagliato fin dall'inizio, i nerazzurri non hanno rinunciato al pressing alto, a tenere il possesso e ad alzare gradualmente il baricentro durante la partita; insistere su determinati dettami senza condizionamenti di alcun tipo è una cosa che apprezzo, perché se la visione data da questi dettami è corretta la tanto ricercata "mentalità" vien da sé con il tempo.
Qui però finiscono le cose positive, impersonate soprattutto da Banega, che ho messo in saccoccia ieri sera. 
Come detto, queste partite a inizio ciclo sono soggette a scoprire i tuoi limiti ed a mettere bene in vista quale e quanta strada c'è ancora da fare.



Cosa c'è da sistemare per non restare a bocca asciutta come ieri sera?
Mi pare del tutto assodato che il grado di solidità del centrocampo oggi dipende dalla buona vena di Joao Mario: venuto meno lui, recuperato peraltro per miracolo, tutta la fase difensiva è stata disastrosa a partire da un Medel in confusione totale per finire nel naufragio del reparto arretrato in cui anche Miranda per una volta ha abbandonato la nave. Certamente il primo passo per diventare squadra è non dipendere dagli individui.
Seconda cosa, ma non meno importante: fare gol deve essere un mantra da ripetere ogni giorno come una preghiera. Oltre a non essere accettabile sbagliare gol a ripetizione in partite come quelle di ieri sera, non possiamo trovarci nella condizione che se non segna Icardi siamo in mano al Padre Eterno.
Perisic e Candreva dovranno trovare la chiave per essere più prolifici perchè il tasso di conversione di quanto si crea effettivamente deve necessariamente alzarsi. E chissà che Gabigol non torni utile da questo punto di vista.

Infine, il solito tema: il materiale su cui lavorare con chance di successo non comprende un buon 80% della panchina a disposizione anche ieri, De Boer è nel giusto a far giocare Jovetic se ritiene si sia allenato con serietà ma non può essere ripagato con la disattenzione e la leggerezza: i tradimenti dei rincalzi iniziano ad essere una fastidiosa costante.
A questo proposito è piuttosto urgente che Brozovic trovi il lume della ragione in mezzo alle varie parentesi di Instagram e social vari, in attesa di un sempre più necessario repulisti da iniziare a gennaio.

All'Olimpico abbiamo fatto tanta, troppa confusione ma voglio credere che la squadra abbia sbattuto contro i tanti ostacoli presenti sulla strada che porta ad essere un collettivo vero e riconoscibile, partendo da una situazione di eccessiva instabilità; voglio credere che Frank De Boer, ieri non esente da responsabilità sulla lettura della partita e certe situazioni come la difesa su palla inattiva, esca da Roma con un blocco di appunti pieno di nuovi apprendimenti per facilitare la ricerca della chiave giusta finalizzata al far girare sempre bene la sua squadra.
Io so che l'Inter non è solo quella vista contro la Juventus e non è solo quella vista ieri sera, sono solo due facciate di un nuovo edificio ancora in costruzione, dato che mi sembra abbastanza chiaro che del progetto precedente si vuol tenere poco.
La sintesi che resta in equilibrio tra le due versioni di questa squadra ci darà la continuità che al momento è difficile potersi aspettare senza incappare in almeno un incidente di percorso. Statene certi, da questo calderone qualcosa di gustoso e ben amalgamato alla fine verrà fuori.
Avanti Inter.