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mercoledì 20 settembre 2017

Tra palco e realtà



I freddi, ma decisivi numeri portano un sorriso: l'Inter esce da due trasferte in tre giorni con un bottino di quattro punti, risultanti parte di una classifica che dopo un mese dice che la squadra di Spalletti ha perso per strada due punti sui 15 a disposizione.
Bene, bravi, bis: ma i sorrisi finiscono qua.
Tutto il resto visto in queste due prestazioni era già stato accennato parzialmente contro la Spal e non lascia spazio a volti perfettamente distesi perchè evidenzia molto bene dove il mercato dell'Inter non è arrivato in estate. Già in molti avevano messo l'Inter sul palco delle grandi protagoniste, glissando sull'impressione generale destata dalla squadra e nascondendosi dietro il dito delle squadre chiuse che non permettevano a Icardi e compagni di proporre il loro calcio. Il castello di carte è caduto a Bologna, dove c'è stata una squadra propositiva che ha surclassato l'avversario per quasi un'ora e quella squadra no, non era l'Inter.

Il Bologna per più di un tempo ci ha dato un'idea generale di cosa accadrebbe se oggi andassimo ad esempio a giocare a Napoli (a proposito, succederà a un mese da oggi): ci ha messo sotto con poche semplici mosse, tra cui una condizione atletica molto più convincente, un gioco fluido a massimo due tocchi, qualità sugli esterni, una fase difensiva organizzata a cui è bastato mettere la museruola a Borja Valero con il raddoppio della punta su di lui per disinnescare le nostre velleità di gioco corale. Una mossa che Donadoni ha mutuato da Nicola: aveva funzionato con Budimir, ha funzionato con Petkovic. Una mossa elementare che ci porterà spontaneamente la domanda più temuta: " È davvero tutto ciò che sappiamo e possiamo fare?".
La risposta in questo momento è sì, perché la spina dorsale della manovra ha delle vertebre martoriate dall'osteoporosi: parlo ovviamente di Joao Mario, fragile ed inconsistente elemento che dovrebbe essere portante e sta finendo invece con il rendere paralizzato l'intero impianto di gioco. Lì sulla trequarti l'equivoco è ormai di una certa evidenza anche per chi non fa colazione con pane e tattica: il portoghese non sa interpretare il ruolo nelle sue fasi più cruciali, ovvero l'incisività in fase d'attacco e la capacità di prendere decisioni giuste al momento giusto. No, Joao Mario non ha tempi, passo e piede per ricoprire quella posizione fondamentale per Spalletti e ad essere sinceri la colpa non è nemmeno sua: di una quota gol, assist e pericolosità generale non soddisfacente per il ruolo occupato ce ne eravamo accorti benissimo già lo scorso anno, doveva intervenire il mercato, ma sappiamo com'è andata e Spalletti si ritrova a dover fare la zuppa senza avere il fuoco mai abbastanza caldo per portarla a cottura.

La pentola poi deflagra rumorosamente quando viene disinnescato Borja Valero e l'esplosione del problema influisce maledettamente anche sul rendimento di Icardi, che sappiamo bene non essere un top di gamma dal punto di vista delle soluzioni in manovra e che, a Bologna come a Crotone, non riesce proprio a rendere compatibile la sua letalità sotto porta con la capacità di giocare anche venti metri più indietro quando l'attacco diventa prevedibile ed affannoso.
Il risultato, ahimè, diventa lo stesso di sempre: si attua un piano B che diventa convincente se Perisic è in stato individuale di grazia, ma diventa come ieri sera macchinoso e frustrante quando invece le sorti della manovra passano da Candreva che cercando Icardi solo in mezzo a 3-4 difensori finisce per fare il tiro al bersaglio su schiene, piedi e corpi avversari. Evidentemente, non potrà bastare a lungo per inanellare risultati positivi, quando fisiologicamente entreremo in una fase in cui gli episodi di gioco gireranno a sfavore.
La lettura più evidente è che il Borja Valero attuale non è Strootman, Joao Mario non è nemmeno cugino di sesto grado di Nainggolan e Vecino è un giocatore che diventa assolutamente anonimo se attorno a lui non c'è un sistema di gioco propositivo: tutte cose che sapevamo già, ma che ci hanno comunque permesso di mettere l'Inter su di un palco perchè l'idea alla base è golosa e vincente, ma gli ingredienti sono quelli che sono e anche aprendo il frigo per cercarne degli altri da inserire a ricetta in corso, il piatto piange.

Come uscirne? 
La soluzione più immediata sembrerebbe l'apertura ad un cambio modulo, quel 4-3-3 che tuttavia rischia solo di spostare la toppa da una parte all'altra del campo perchè, se è vero che il rendimento di Joao Mario da mezzala potrebbe avvantaggiarsene, resta da vedere cosa cambia in negativo negli equilibri d'attacco. Penso soprattutto al rischio di depotenziare Perisic, che dovendo coprire il campo più all'interno che all'esterno dovrebbe certamente rinunciare all'uno contro uno sull'out come vero e proprio stile di vita. Un problema che potrebbe essere coperto da un terzino bravo almeno la metà di lui in questo fondamentale, si può scommettere su Dalbert ma sempre scommessa rimane: il certificato di garanzia in questo possibile cambio modulo non è di serie, ma passa da una moltitudine di variabili.
Rimane di positivo che i giocatori continuano a sembrare generalmente convinti di ciò che stanno facendo, la stragrande maggioranza di loro sa cosa fare in campo anche se poi non gli riesce, non sono al punto di perdere la brocca e lasciare che tutto vada a carte quarantotto.
La testa è ancora connessa e questa è la miglior base su cui fondare tutto il resto: è un castello di carte che per le 14 partite restanti da qui a gennaio potrebbe benissimo cadere (soprattutto a Napoli e a Torino sponda Juventus), ma su cui la differenza sarà fatta dalla capacità di rimettersi in piedi.

Da qui serve augurare il meglio a mister Spalletti, l'unico che può convincere la squadra di possibilità che al momento la squadra stessa non sa ancora di avere: "o risorgiamo come collettivo o saremo annientati individualmente, centimetro dopo centimetro."
In questo saliscendi tra palco e realtà, non dobbiamo dimenticarci che siamo l'Inter.
E quando sei l'Inter, la tua unica realtà deve essere il palco.

lunedì 11 settembre 2017

Provviste per l'inverno



Arriverà anche il tempo di cicaleggiare: la nuova Inter di Spalletti non strimpella ancora accordi in barré né canta melodie festaiole, ma nel fienile ha messo già il massimo delle provviste a disposizione nonostante uno degli avvii più ostici tra i suoi competitors.
Anche se, nel sudore lasciato a terra per avere ragione di una Spal organizzata e spessa, un assolo di rock'n roll lo ha regalato Perisic.
Ma andiamo con ordine: Spalletti aveva già stilato un programma fedele della sua domenica in settimana, ammonendo sul fatto che chi si aspettava una gita di fine estate ci sarebbe poi rimasto male. 
Non era retorica, come non lo è mai quando parla lui: non può essergli sfuggito il percorso decennale del suo conterraneo Leonardo Semplici che ha fatto tappa anche nella sua Certaldo nel lontano 1992, in quell'anno in cui Lucianone finiva la sua carriera giocata nella vicina Empoli.
Sapeva bene che Semplici non è più il commerciante che si dilettava da giocatore nel sottobosco toscano, ma è allenatore vero: è sempre quello che ha portato il Figline Valdarno dall'Eccellenza alla C1, sempre quello che ha fatto di Bernardeschi un giocatore pronto per il professionismo ai tempi della Primavera viola, sempre quello che ha riportato la Spal al massimo dopo 50 anni travagliati.
Sapeva che la sua squadra era più forte, ma che non bastava: la sua doveva essere una squadra superiore a partire dal concetto di squadra.
Nominando in conferenza stampa Gagliardini, che alcuni avevano già dato per disperso la mattina stessa, ha responsabilizzato il giocatore: "ho fiducia in te e te lo dimostro senza paura di farlo sapere al mondo". La chiave giusta per il numero 5 nerazzurro che alla fine risulterà il più sostanzioso tra i centrocampisti nerazzurri. 
L'innamoramento calcistico del tecnico per Perisic, che per lui si è esposto fin da subito a scapito di qualche probabile preordinata strategia di mercato, vive nel pezzo di bravura che ha sigillato i 3 punti con la ceralacca: magari Perisic non ti impatta sempre la partita con un piccone, ma te la chiude con il fiocco ed il bigliettino glitterato se decide che è ora.
E che dire di Skriniar, solo sabato profetizzato top mondiale entro un anno dall'allenatore e che oggi ci lascia il genuino dubbio su chi sia il leader difensivo tra lui e Miranda come non ci saremmo mai sognati di fare.
Spalletti parla tanto, ma non a caso: quando chiama in causa un'individualità relativa alla partita di cui sta parlando, c'è sempre un'ottima possibilità che abbia visto in quell'individualità la differenza tra una partita incompiuta ed una centrata. Anche Joao Mario, in una partita con un solo vero guizzo, ha spostato qualcosa procurandosi la massima punizione risultata poi capitale nell'economia della partita.

Tutto benissimo, allora? No e sarebbe quantomai fazioso e fuorviante definire perfetta a metà settembre una squadra che sta rivoluzionando la sua filosofia.
La trequarti resta un cruccio: magari non passeranno tante piccole organizzate e tignose come la Spal di Semplici, ma quando arriva a San Siro una squadra chiusa e le porte da scardinare diventano più robuste l'Inter dà l'impressione di avere meno soluzioni offensive di quanto dovrebbe. In un deja vu, forse l'unico, di quanto visto lo scorso anno, la pedina sulla trequarti non riesce mai ad essere un offensivo che incide in maniera significativa negli ultimi 16 metri, con l'immediata conseguenza che col passare dei minuti si va sempre più sulle fasce e si diventa sempre più prevedibili. 
La manovra rallenta, l'occupazione degli spazi in area diventa frammentaria e il risultato è che domenica su 30 cross totali solo 6 sono risultati utili per generare un'occasione da gol: il 20%, una percentuale davvero troppo deficitaria per risultare l'unica freccia nell'arco.
Può metterci una pezza Icardi muovendosi di più "a elastico", ma questo significherebbe sovraccaricare il finalizzatore per colmare la mancanza di un rifinitore incisivo e il problema rischierebbe solo di essere deviato anziché risolto.
Una soluzione più percorribile potrebbe essere invece infoltire la mediana schierando contemporaneamente Vecino e Gagliardini e allargare il raggio d'azione dei due esterni per l'occupazione degli spazi centrali: come dire che se non hai un 10 convincente in squadra, puoi provare a giocartela con due 9 e mezzo.
Tutto questo Spalletti lo ha realizzato probabilmente nel secondo giorno di ritiro e per questa ragione ha chiesto il Nainggolan della situazione, o lo stesso Radja, senza però ottenerlo: una soluzione, interna o dal mercato, in qualche modo arriverà.

Al di là di limiti strutturali di cui abbiamo già parlato, molti tifosi interisti tengono la linea del "tanto abbiamo già visto come finisce con questi giocatori". Non li biasimo, ma quando ami e decidi di dare una seconda possibilità devi anche mettere in conto che il giudizio deve essere equo e coerente, altrimenti è meglio distaccarsi senza concedere l'opportunità di cambiare. Perché l'Inter vuole cambiare e questo è sotto gli occhi di tutti, farcela o meno è un discorso che non si può affrontare oggi.
Oggi bisogna guardare la dispensa e vedere i 9 punti che la squadra ha messo via per rendere rimediabili gli inevitabili periodi di magra e flessione: arriverà anche il tempo di cicaleggiare.

NOTA A MARGINE 1: 57.235 spettatori. Sotto la pioggia, alle 12.30, contro una squadra che non vedeva la A dal 1967. Un'interista non è mai mai mai domo.

NOTA A MARGINE 2: Il chiacchiericcio sull'utilità del VAR mi ricorda chi chiede di adeguare in sicurezza un incrocio pericoloso e quando poi ci passa recrimina sul fatto che quell'incrocio così com'è gli svilisce il suo collaudato stile di guida.
La verità sul VAR è una sola e varrà anche quando la decisione sarà avversa: rendere più regolare una partita di calcio è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza per la Serie A.
Amen.