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lunedì 4 dicembre 2017

Foto di gruppo



Mamma mia.
Adesso lo dico proprio con lo stupore di chi si ritrova le proprie convinzioni già abbastanza rosee addirittura soverchiate da ciò che ha visto: mamma mia.

Inter-Chievo doveva essere una partita già complicata di suo, resa ancor più ingarbugliata dalla vetta a portata di una squadra nota negli ultimi anni per riuscire a perdere tutti i treni possibili: è stato un massacro, una sorta di pandoricidio pre natalizio.
Era l'ennesimo esame, la rinnovata prova del nove dove alla fine 9 (ma forse anche di più) potevano essere i gol segnati da Icardi e compagnia, ma strada facendo è diventata soprattutto la prova dei nove: i 9 titolari su 11 che si sono abbattuti sul Chievo come Katrina su New Orleans (solo il Napoli contro il Benevento ha avuto, dati alla mano, una produzione offensiva paragonabile) e che sono tutti reduci dalla disgraziata stagione 2016/17.

Riflettiamoci un attimo: riavvolgiamo il nastro, torniamo a fine luglio e facciamo finta vi sia stato anticipato che a dicembre avremmo ospitato il Chievo schierando in difesa Santon Davide, Skriniar Milan, Ranocchia Andrea e D'Ambrosio Danilo.
Le reazioni sarebbero state nell'ordine: risate, scherno, pernacchie, incredulità, ira, depressione, nichilismo: non si può barare qua, sappiamo tutti che sarebbe andata così.

Invece il Santon visto per un'ora ieri è la cosa più simile al Santon visto contro il Man United di CR7 e Ferguson nell'ormai lontanissimo febbraio 2009; su Ranocchia dovremmo aprire un capitolo a parte, probabilmente incentrato sulla psicologia, nel vedere un calciatore praticamente carbonizzato in questa piazza giocare benissimo e dichiarare poi "mi sembrava di stare al campetto con gli amici".
Siamo all'imponderabile, vanno chiamate in causa le congiunzioni astrali come del resto per tutta la domenica nerazzurra iniziata col Milan che diventa parte della storia del Benevento prendendo gol al 95' dal portiere e finita con l'Inter che polverizza il Chievo, squadra che oggi ha 20 punti e che si salverà probabilmente tra febbraio e marzo, tirando 39(!!!) volte verso la porta di Sorrentino.


La domanda è lì a sfrigolare in attesa di trasformarsi in una risposta inattaccabile: com'è stato possibile che questa squadra sia arrivata al 3 dicembre inanellando il terzo miglior rendimento nell'intera storia della Serie A? Quanto c'entra Luciano Spalletti in questa meravigliosa follia?
Luciano da Certaldo è certamente il maggior responsabile di questa scintillante Inter autunnale, di cui probabilmente non stiamo cogliendo la grandezza perché deviati da un campionato che è interpretato ad altissimo livello anche da altre quattro squadre.
Lui ha impresso un cambio di filosofia nel gioco, lui ha coinvolto giocatori che erano a pezzi e li ha resi parte di un mosaico, lui ha ribadito gli obblighi sindacali a cui si è sottoposti indossando la maglia dell'Inter: giocare sempre per fare risultato, mai pensare che basti il compitino.

Ne fui sicuro già dopo una settimana di precampionato: l'idea di Spalletti era vincente sul lungo termine, nonostante la qualità della rosa non fosse la migliore del campionato. 
Non avrei però mai potuto credere a questo rendimento, contornato da partite giocate in maniera assurdamente superba come la prima ora di Inter-Sampdoria e come l'ultimo Inter-Chievo in alternanza con partite giocate in maniera tremendamente cazzuta come Napoli-Inter.
Già era promettente una squadra in cui tutti sapevano cosa fare, vera svolta stagionale, ma ora abbiamo avuto la prova che tutti possono anche sapere come fare le cose nel miglior modo possibile: l'azione del 4-0 di Skriniar, ad esempio, contiene almeno 5 cose fatte in modo perfetto da 4 diversi giocatori.
E anche se il Chievo non ha pescato certamente la sua giornata migliore, i meriti di questa squadra che di casuale non ha più nulla rimangono saldi.

Quindi, cosa possiamo mettere sulla bilancia per riequilibrare tutta questa positività? Per molti c'è una frustrazione, lecita, che deriva dall'aver fatto 39 punti su 45 ed avere ancora un margine troppo risicato sulla quinta forza del campionato.
Abbiamo scelto forse l'anno peggiore per decidere di diventare una squadra che vince, è pacifico, ma dall'altra parte io non sono convinto al 100% che un vantaggio di 10-12 punti sulla zona Champions sarebbe un sinonimo di tranquillità.
Conosco l'Inter e conosco purtroppo come le mie tasche i suoi cali di tensione: voi stessi, sono sicuro, pensate alla stagione in modo guardingo e attento aspettandovi dietro l'angolo l'episodio che la svolta in negativo. Il motivo è lo stesso, avete timore dell'Inter che si rilassa e perde la trebisonda.
Ecco perché un campionato senza tregua, senza il minimo margine di errore, senza la possibilità di poter concepire un passo falso inaspettato può diventare combustibile per un gruppo che ha dimostrato per 15 volte la sua repulsione verso la sconfitta.

Nessuna Inter vincente ha mai potuto abbassare la guardia, anche quella più vincente di tutte avrebbe potuto perdere tutto a maggio, invece non è andata così.

Proprio quell'Inter è stata l'ultima a mettere piede a Torino, sponda Juventus, da prima in classifica: la storia si ripeterà sabato, per la prima volta allo Juventus Stadium.
Nelle mie convinzioni il piano partita di Spalletti non sarà affatto quello di Napoli, credo invece convincerà i suoi ragazzi che fare bottino pieno anche contro di loro che di big match in Serie A ne sbagliano pochi è possibile se ci si crede.
Può evidentemente andare male perché stiamo parlando di una squadra con risorse superiori ed un vissuto da dominatrice: noi possiamo essere loro nel 2011-12, ma loro sono cambiati in meglio senza aver mai tolto le mani dal tricolore.
Però può anche andare bene, perchè se c'è un anno in cui la Juventus non sembra di anni luce avanti a tutte le altre è proprio questo.

Stiamo leggeri, con la libertà di sognare e la consapevolezza che non stiamo ancora giocando per il bersaglio grosso.
Intanto però, scattiamoci una foto per autocelebrare una ritrovata voglia di Inter da parte nostra e da parte di chi va in campo.
Una foto di gruppo, per non dimenticarci mai che le cose migliori accadono quando tutti remano dalla stessa parte.




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