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sabato 31 ottobre 2015

Nessuno è più importante della squadra


Insieme.
Si vince, si perde, si abbraccia la gloria o si è travolti dalla tempesta insieme.
Essere una squadra non è una faccenda per supereroi incaricati di salvare il mondo con poteri che nessuno possiede, quanto più per eroi normali, eroi che riescono in qualcosa di straordinario attraverso l'intuizione di poter essere protagonisti insieme là dove da soli andrebbero incontro al convenzionale fallimento di chi ha creduto di poter fare tutto da sè.

"Lupatelli; Moro, D'Anna, D'Angelo, Lanna; Eriberto, Corini, Perrotta, Manfredini; Marazzina, Corradi". Starete riconoscendo buonissimi giocatori, ma trovate forse un grande campione consegnato alla storia del calcio in questo elenco? Eppure questi uomini ed i loro comprimari sono ricordati come una sola cosa, un'entità chiamata Chievo dei Miracoli che come entità si è consegnata alla storia del calcio, quantomeno di casa nostra, nel momento in cui gli uomini che la componevano hanno capito che da soli non avrebbero avuto mezzi e forza per poter essere associati ad un'impresa fuori dal comune.
E gli esempi non finiscono certo qui: pensate al Camerun di Italia '90, al Deportivo Alaves della Coppa Uefa 2001, Al Senegal ed alla Turchia del 2002, alla Grecia di Euro 2004, al Borussia Dortmund di Klopp, all'Atletico Madrid di Simeone.
O più semplicemente pensate all'Inter del Triplete e chiedetevi se avrebbe potuto raggiungere tale magnificenza senza un Eto'o che accetta di rinunciare al suo ruolo di affermata e conclamata prima punta per essere funzionale al collettivo facendo il terzino.
Tutte realtà ove il singolo ha scelto di spostare i riflettori sui compagni piuttosto che tenerli su di sé, tutte realtà che, se non hanno vinto, hanno stupito e attirato chi li stava ad osservare, tutte realtà che hanno portato ad esclamare: "Questa è una squadra!".

Quando c'è una squadra ci può essere spazio per i problemi del singolo solo nel momento in cui suddetto problema diventa critico per il collettivo, quando c'è una squadra non importa chi passa il pallone a chi purché quel pallone sia vincente, quando c'è una squadra ci sono uomini a credere che il risultato da raggiungere insieme sia immensamente più alto del risultato a cui si arriva da navigatori solitari.
Come un'orchestra, perfettamente sincronizzata ed in cui anche il più piccolo strumento è importante.

La domanda é: oggi l'Inter è un'orchestra? E, se lo é, sta davvero cercando solisti?
L'Inter è un'orchestra, o quantomeno ambisce ad esserlo, ma è incompleta: non mancano i percussionisti, quanto più archi e violini e ci si deve arrangiare nel trovare un ritmo consistente anche senza dolci melodie.
Se c'è una cosa che però adesso non serve sono i solisti, giacché si possono fare tutti gli assoli del mondo ma non saranno mai efficaci e funzionanti se non seguono il ritmo di chi sta battendo su tamburi e percussioni.
Oggi ho l'impressione che quel solista vorrebbe essere Mauro Icardi quando al pubblico fa sapere che se gli danno il tempo lui l'assolo lo farà, ma ho anche l'impressione che sarebbe decisamente più utile cambiare la prospettiva, intuendo che la musica suonata dall'orchestra non è finalizzata all'assolo del solista, ma alla melodia collettiva.
E che è proprio l'assolo del solista a dover cercare i binari di tempo e spazio in cui andarsi ad inserire, altrimenti finisce che l'orchestra rinuncia all'assolo per suonare una musica forse meno coinvolgente, ma quantomeno efficace e coordinata.
L'Inter non è certo una filarmonica da grandi teatri, ma ogni volta che Icardi smette di suonare perché la melodia non è quella che desidererebbe è come se autorizzasse implicitamente ognuno ad andare per conto suo.
Il Capitano dell'Inter può essere il primo a mollare lo strumento, far volare lo spartito e salutare la compagnia?

Solo questo vorrei dire a Mauro Icardi: nessuno è più importante della squadra.
Questa sera, nella notte di Inter-Roma, lo vorrei vedere proprio come nell'immagine qua sopra tendere la mano verso il compagno, rassicurarlo sul fatto che sarà lui a condurlo verso orizzonti di vittoria, a confortarlo sul fatto che l'Inter è una squadra e come una squadra deve costruire la sua storia.
Con quella mano tesa, che non significa "ci penso io" quanto più "venite con me e andiamo a vincere".
Andiamo a vincere.
Insieme.




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