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mercoledì 26 ottobre 2016

Ci meritiamo una Società




Ma chi accidenti comanda all’Inter?
La domanda mi perseguita da ormai dieci giorni e mentre la risposta continua ad essere latente, la squadra continua a giocare partite senza capo né coda e non c’è tregua da un calendario che ci mette nelle condizioni di andare alla berlina ogni tre giorni.
Dal giorno di ordinaria follia alla settimana di dolce fare niente, almeno in funzione alla stabilità della baracca in mezzo alle scosse sismiche provenienti da ogni dove, il passo è stato breve e siamo arrivati al solito vecchio bivio: cambiare allenatore o non cambiare allenatore?
Il saldo della classifica è in forte deficit e se fossimo fermi agli anni ’90 probabilmente non ci sarebbero dubbi sul da farsi, eppure in questi giorni il tifoso medio dell’Inter sta per la prima volta unendo con decisione i puntini che la gestione sportiva del post triplete ha lasciato per strada; il disegno che ne viene fuori è inequivocabile e dice tra le righe che ci meritiamo una Società, se veramente vogliamo arrivare ai successi che si addirebbero al nostro blasone ed albergare nelle zone nobili per più di qualche settimana.

Se non fossero bastati gli 8 tecnici transitati in 6 anni, la situazione in cui siamo finiti con tutte le scarpe smaschera senza alcuna pietà l’andamento di una Società del tutto evanescente nelle cose veramente importanti della gestione sportiva; mi inquietano in particolare le troppe zone di grigio presenti nelle sfumature di una dirigenza in cui dall’esterno non è chiaro chi faccia o debba fare cosa.
Prendiamo ad esempio Ausilio: ufficialmente lui è un DS, quindi ciò di cui dovrebbe rispondere è soprattutto il mercato e la rappresentanza della squadra nei rapporti tecnici con altri club, ma nella realtà dei fatti è l’uomo che con i media cerca di barcamenarsi nel rispondere dei problemi che vengono a galla nella Società per i più disparati motivi. In più, una buona parte della strategia nell’ultimo calciomercato è stata tolta dal suo controllo in vece di Kia Joorabchian che ha curato ad esempio con dovizia di dettagli tutto l’affare che ha portato Joao Mario all’Inter.
Perché succede questo? Semplice, perché l’Inter non ha un Direttore Generale che risponda all’esterno dei vari problemi che iniziano con la gestione sportiva e sconfinano in un ambito estremamente più aziendale. Michael Bolingbroke, che dell’Inter è Amministratore Delegato(CEO) da diverso tempo è in questo senso un fantasma: leggiamo una volta ogni due-tre mesi, da testate quasi sempre estere, dichiarazioni su quanto siamo bravi a beccare sponsor in giro e di quanto la nostra gestione economica sia in continuo miglioramento, ma sulla gestione sportiva che dovrebbe rappresentare il Core Business di una Società come l’FC Internazionale Mr. Bolingbroke è completamente assente.
L’altra carica che potrebbe sconfinare in compiti da DG, il Chief Operating Officer, è ricoperta da Alessandro Antonello che in termini di rappresentanza pubblica non è mai esistito e sospetto peraltro che una buona percentuale di tifosi dell’Inter nemmeno sa che esiste.
Così è Ausilio a dover fare il DG ad Interim senza avere ancora maturato la preparazione ed il pragmatismo che necessita un ruolo di questa caratura, con gli effetti nefasti che abbiamo ad esempio visto nella gestione dell’ultimo caso Icardi.
Rifletteteci un attimo: quanti di voi sanno che faccia ha il DS della Juve Paratici senza aiutarsi con Google Immagini? Uno come Paratici, ad esempio, non si vede e non si sente se non in collegamento alla sua area di responsabilità (il mercato), con il resto del “lavoro sporco” assegnato al DG ed AD Giuseppe Marotta che invece il pubblico conosce alla perfezione.
Quindi delle due l’una: o Ausilio viene promosso DG o torna a fare il DS nominando un CEO che sia in grado di fare il CEO a 360°. Niente zone di grigio, niente improvvisazione: ciò che dovremmo riconoscere in ogni Società internazionale di questa caratura.

Alessandro Antonello, Chief Operating Officer dell'Inter: quanti di voi sapevano che faccia avesse?

Giovanni Gardini, Chief Football Administrator dell'Inter: quanti di voi hanno capito le sue competenze?
A proposito di sfumature, due grandi misteri aleggiano nel board nerazzurro: Javier Zanetti, che non ha alcuna formazione da dirigente, viene spesso imbeccato dalla telecamera a parlare in nome e per conto dei vertici societari: perchè? Sappiamo che è vice-Presidente, ma sappiamo anche che il suo ruolo deve essere di mera rappresentanza e/o vicino alle dinamiche del campo di cui dovrebbe conoscere più o  meno tutto, soprattutto all’Inter. Quali sono dunque le sue responsabilità? Quale la sua “mission”? Mistero, almeno per me.
Parlando di misteri, mi viene spontaneo pensare a Giovanni Gardini: lui è il “Chief Football Administrator”, una carica che per quanto ne so esiste solo all’Inter.
Gardini si presenta a marzo, rilascia alcune dichiarazioni alla conferenza stampa di presentazione, dopodiché sparisce nell’anonimato più totale a livello di rapporti mediatici e di risonanza pubblica nel rappresentare l’Inter.
Se pensiamo che questo ingresso negli intenti andava a sostituire quello di Fassone, il mistero aumenta: abbiamo un Chief Executive Officer, un Chief Operating Officer, un Chief Football Administrator e nessuno dei tre sembra avere alcuna responsabilità da prendersi quando le cose nella gestione sportiva iniziano a girare per il verso sbagliato.
Thohir saluta De Boer nel giorno del suo arrivo: dov'è ora il Presidente dell'Inter?
Ecco qua la parola chiave di tutta la vicenda: Responsabilità.
Responsabilità, quindi rischio, dovrebbe essere normalmente la priorità di qualunque carica presente in organigramma; all’Inter la storia degli ultimi 6 anni dice invece che la Responsabilità, quindi il rischio, legata all’intera gestione sportiva grava interamente sulle spalle dell’allenatore di turno.
Diventa così evidente il fatto che anziché cercare di prevenire i fulmini, si preferisce farli cadere costantemente usando l’allenatore come parafulmine; questo ruolo è stato svolto per diverso tempo da Mancini il quale però ha preteso che in cambio dell’assunzione di un rischio che non doveva essere completamente suo, avrebbe dovuto altresì avere un ruolo decisionale di un certo peso nell’ambito della gestione sportiva (leggi calciomercato). Un concetto che ci potrebbe anche stare in senso logico, ma che non ne ha alcuno sul piano aziendale: il dirigente è il dirigente, l’allenatore è l’allenatore. Altre zone di grigio che a un certo punto hanno imposto di essere trasformate in bianco o in nero da Thohir, che ha scelto la versione scura, mettendo la firma in calce sulla tardiva transizione che ha portato De Boer nel ruolo che ricopre ora.
Ora che le cose nella gestione sportiva vanno male, dov’è Thohir? Non certo fianco a fianco con l’allenatore da lui scelto nonostante la quota minoritaria all’interno dell’Inter, lui che in questo momento riesce ad essere Presidente ed a mantenere lo stesso peso decisionale nonostante il suo rischio d’impresa sia notevolmente diminuito nella transazione con Suning. L’ennesima anomalìa che presenta il conto dei suoi effetti negativi quando ci sono da superare gli ostacoli, l’ennesima zona di grigio che permette di scaricare l’assunzione di responsabilità nel momento in cui è inevitabile farlo.


De Boer all’interno dell’Inter è un uomo solo, come a suo tempo lo furono Mazzarri, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni e via dicendo. A loro l’ingrato compito di presentarsi in tv dopo una sconfitta a scusarsi con i tifosi ed ad asserire, velatamente o meno, che in fondo era tutta colpa loro.
Alla luce di questo desolante background vi chiedo, amici nerazzurri: come potremmo vedere in campo qualcosa di diverso? Come potremmo aspettarci una squadra coesa ed unita nel momento in cui questa squadra vede l’esatto contrario da parte della propria dirigenza?
A Bergamo De Boer l’ha detto chiaramente, in campo alcuni volevano fare una certa cosa ed altri volevano fare l’esatto contrario: ecco perché la nostra impressione quando rotola il pallone è che questa squadra si conosce da cinque minuti e non da almeno un anno e mezzo, con l’eccezione delle partite tipo Inter-Juventus in cui le motivazioni sono sufficientemente ampie da nascondere per 90 minuti i problemi atavici che attanagliano il contesto Inter e di cui l’allenatore di turno è da sempre ostaggio.
Ecco perché poi arriva il Miranda di turno a smentire pubblicamente l’allenatore di turno sulle idee di gioco, perché c’è qualcuno alle spalle che gli consente di farlo: quando ognuno sente di potersi prendere qualunque libertà, in qualunque contesto di lavoro, normalmente la prima cosa che viene a mancare è l’impegno ed i risultati di tutto ciò sono sotto i nostri occhi.


C’è però una variabile importante in tutto questo: i tifosi hanno iniziato a capire con molta chiarezza che se transitano 8 allenatori in 6 anni il problema di fondo non è l’allenatore.
Hanno iniziato a capire che nella distribuzione delle colpe va allargata la visuale e coinvolto chi ha la responsabilità di mettere la squadra nelle condizioni giuste per poter essere o diventare una squadra.
Hanno iniziato a capire tutto questo proprio perché, complici la lunga epopea del Fairplay finanziario ed i due passaggi di consegne societari con annesse dichiarazioni sui piani aziendali, la Società stessa li ha messi nella condizione di ampliare il proprio range di informazioni non limitandosi più a guardare la partita, ma andando anche a voler capire qual è il modello di business che l’Inter segue per tornare ad ambire a determinati traguardi.
E anche se nessun tifoso ha capito fino in fondo che direzione stia seguendo l’Inter, alla maggior parte di loro è ben chiaro che arrivati a questo punto la responsabilità delle loro frustrazioni sportive non può più essere una croce da scaricare addosso ad un allenatore la cui idea di calcio, soprattutto in Italia, richiede tempo, pazienza e qualche passaggio nelle asperità che stiamo testimoniando in queste settimane. Chiunque, ma dico chiunque, segua il calcio italiano anche nella maniera più superficiale possibile sapeva ad Agosto che prendere Frank de Boer equivaleva a piazzare una scommessa il cui cash- out non sarebbe arrivato prima di un tempo stimabile tra i 6 mesi e l’anno.
Oggi il motto dei tifosi è #IoStoConDeBoer e forse non perché lo ritengano il miglior allenatore dell’universo, ma perché pretendono che l’assunzione di responsabilità sia una cosa da prendere molto seriamente all’interno di una Società ambiziosa tanto quanto la sua tifoseria.

In parole semplici, la festa è finita: se nella stanza dei bottoni dell’Inter piace pensare ad un modello aziendale di tipo anglosassone, come mi è parso di capire, mettano in piedi una RACI chart che definisca in modo inequivocabile chi è responsabile, chi deve portare risultati, chi deve essere consultato e chi deve essere informato e che faccia tremare con veemenza le varie poltrone dirigenziali nel momento in cui le responsabilità vengono a mancare.
Non possono e non devono pensarci i tifosi, che alle soluzioni per la squadra pensano forse anche di più della stessa dirigenza.

Il messaggio deve risuonare forte e chiaro: ci meritiamo una Società.
La svolta vera e tangibile può iniziare solo da qui.

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