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lunedì 31 ottobre 2016

L'Inter che poteva essere




Riavvolgiamo il nastro.
Siamo a inizio giugno, sta per iniziare Euro 2016, state pensando alle meritate vacanze estive e nel frattempo l'Inter in Cina sta celebrando la transizione che porta Suning a capo della Società nerazzurra: arrivano i soldi, arrivano le competenze, arriva la chiarezza ergo arriveranno i risultati.
Tutte le componenti della Società hanno apparecchiato il nuovo corso preparandolo all'insediamento con il massimo del tempismo decisionale. Roberto Mancini non è riuscito ad agganciare il posto in Champions League e dopo qualche giorno di colloqui la decisione è presa: dividiamo le strade ora, per il bene dell'azienda e della squadra in cui ci troviamo, e facciamolo prima che sia troppo tardi per organizzare un nuovo corso.
La Società ha programmato da tempo questo passaggio, ha già allertato da tempo il nuovo allenatore e sottotraccia ha già iniziato a cercare dei giocatori compatibili con le esigenze della Società tanto quanto col progetto tecnico dell'allenatore, che sono certi di aver recepito perfettamente prima di sceglierlo.


Mentre l'attenzione di tutti è concentrata sulla gradevole Italia di Conte nella sua avventura in Francia, l'Inter consegna la sua squadra al nuovo allenatore e nel contempo fa avere un messaggio a tutti i giocatori, quelli che sono in vacanza e quelli che sono con la propria rappresentativa: "Abbiamo un nuovo allenatore, crediamo in lui per tornare in alto, avete tre mesi di tempo per decidere se remare dalla sua parte o chiederci la cessione: fate la vostra scelta confermandoci preventivamente di avere ben chiare le condizioni societarie, perché quanto vi abbiamo detto non cambierà nel tempo."
De Boer si presenta a inizio giugno preparandosi qualche parola in un discreto italiano che aveva già iniziato a studiare sapendo che la sua nuova avventura sarebbe iniziata da lì a poco. I giornalisti presenti in sala non ridacchiano, ma anzi apprezzano di essere stati tolti dall'imbarazzo di dover parlare in inglese in diretta.


 L'estate e il mercato si trascinano fino alla fine di Agosto, con De Boer che ha instillato i suoi dettami nei giocatori che li hanno voluti recepire ed ha congedato con una pacca sulla spalla e tanti auguri di buona fortuna i giocatori che invece sono rimasti fedeli a concetti tattici e disciplinari ormai vetusti.
La Società, che nel frattempo si è riorganizzata nell'organigramma, organizza un meeting al giorno con il nuovo tecnico, con un'agenda chiara e definita: A che punto siamo, a che punto dobbiamo essere, cosa possiamo fare sul mercato, cosa possiamo sistemare nella rosa, cosa possiamo fare per mettere l'allenatore nelle condizioni ideali per svolgere al meglio il suo lavoro.

Strano, vero?
A guardare fuori dalla finestra oggi, con la nebbia autunnale, le foglie per terra e 14 miseri e piangenti punti in classifica facciamo mente locale e ci accorgiamo che non è successo niente di tutto questo.
De Boer è stato preso tardivamente e gli è stato detto pressappoco: "Questa è la Pinetina, questa è la squadra, questo è Thohir e adesso la salutiamo e le diamo carta bianca, faccia quello che crede, contiamo su di Lei: arrivederci."
I giocatori si sono ammutinati perché vogliono giocare in maniera diversa o forse non sono uniti nemmeno in questo, forse siamo arrivati al punto che ognuno è l'allenatore di se stesso, di certo sappiamo che non esiste una figura autorevole riconosciuta da questi giocatori.
A proposito di ingranaggi disuniti, alle spalle del palcoscenico c'è una Società che da almeno tre mesi è un'accozzaglia di dirigenti che cercano una fetta di potere decisionale senza mai arrivare ad un trait d'union: a partire dalla gestione estiva di Icardi, a cui Ausilio non avrebbe mai concesso il rinnovo mentre dall'Oriente arrivava l'input esattamente opposto, per arrivare alla scelta dell'allenatore che alla parte italiana della dirigenza è andata di traverso fin dal primo giorno.
Uniti su niente e nessuno, ingolositi da un effettivo vuoto di potere in cui ognuno cerca di inserirsi alla ricerca del suo posto al sole vedendo il resto dell'impianto dirigenziale come una minaccia, o come una frangia distaccata che porta incidentalmente gli stessi colori.
L'Inter oggi è come lo slogan di quella parodistica gag sulla Casa delle Libertà in una trasmissione di tanti anni fa: "facciamo un po' come cazzo ci pare", concetto che vale dal Presidente con quota di minoranza che sceglie il corso tecnico tagliando fuori il resto del suo staff a uno come Eder che manca di rispetto all'allenatore in diretta TV rifiutando la stretta di mano.

Chiunque voglia ancora pensare che le cose non stiano effettivamente così è nascosto dietro ad un vetro sperando di non essere visto e rifiutandosi di vedere la situazione nel suo complesso, in cui può scendere ad allenare l'Inter pure Gesù Cristo in tunica e sandali, giocarsi due-tre miracoli nelle prime settimane ed arrivare infine alla resa dei conti con una Società che di fatto non esiste.
Non è una teoria senza riscontri, ma la storia degli ultimi 5 anni.

Io non ce l'ho una soluzione amici. A perdere continuamente, svogliatamente, inesorabilmente mi verrebbe perfino voglia di radere al suolo il club, ricominciare daccapo e fare le cose per bene.
Sono spettatore del cantiere di quella che dovrebbe essere casa mia e vedo che quando finiscono di mettere su i pali portanti, arriva qualcuno a dire che in realtà i pali vanno messi un metro più in là e butta giù tutto; quando sono un metro più in là arriva qualcun altro a dire che vanno messi cinque metri più in là e butta giù tutto; quando sono cinque metri più in là arriva qualcun altro a dire "guardate che stiamo costruendo un condominio, mica una casa" e butta giù tutto.
E io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni che il problema di base non sono né i pali portanti né il progetto su carta, bensì l'assenza totale di fondamenta su cui poggia tutta la struttura.
Io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni una data di fine lavori che continua ad essere corretta e posticipata sempre un anno o due più in là, sempre lì a vedere solo ed unicamente il punto zero senza mai arrivare ad un punto uno, sempre lì a dover ascoltare perplesso chi sta nella mia situazione e mi parla di come arredare una casa che non esiste.


Forse ho alzato bandiera bianca, forse non sono più in grado di costruire un'analisi di una realtà frustrante a cui si aggiunge la frustrazione di vedere gente incapace di viaggiare sulla lunghezza d'onda di un progetto unico e condiviso.
Mi allontano dal cantiere pensando alla casa che poteva essere e non sarà, poco dietro di me l'ennesimo capo cantiere, di nome Frank, è stato rimosso dall'incarico e mi guarda cercando una risposta.


Vai a costruire la tua casa solida e funzionale altrove, Frank, hai tutte le capacità per farlo.

Non qui, non adesso, non così.
Se mai riusciremo ad avere un tetto di nome Inter sulla testa, magari quel giorno ti inviteremo a cena ricordando assieme quei tempi in cui ti ordinarono di costruire in due mesi una cattedrale su una discarica.


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