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lunedì 5 settembre 2016

Benvenuti in Europa: la prima volta del Kosovo


Le qualificazioni mondiali, per i paesi abituati a considerarle una fastidiosa anticamera, non hanno certo un grande appeal.
Per qualcuno però, la data di stasera è una di quelle da segnare sul calendario col 
pennarello indelebile e consegnare ai posteri scrivendo "io c'ero".
Così un apparentemente anonimo match tra Finlandia e Kosovo diventa storia scolpita 
nella pietra, perché è la prima partita ufficiale di sempre per la piccola ed 
autoproclamata Repubblica balcanica.

A dirla tutta, è un miracolo pressoché imprevedibile fino a pochi anni fa il fatto che 
questa rappresentativa possa avere una chance per i Mondiali: una Repubblica non 
riconosciuta da ben 73 paesi Onu, per la maggior parte dei quali il Kosovo è un nervo 
scoperto che rischia di creare quel precedente utile a rintuzzare le scintille 
separatiste sparse nel mondo (in testa Spagna ed Israele, ma anche la Russia che 
ospita la fase finale del torneo), all'improvviso si ritrova con un invito al gran 
ballo della Coppa del Mondo al pari dei paesi con grande tradizione e tutt'altra 
situazione socio-politica.

Sì, perché il Kosovo funestato dal conflitto di fine anni '90 non è mai davvero 
rinato: la povertà è diffusa, le principali fonti di ricchezza (soprattutto miniere) 
contese da quella Serbia che non ha mai smesso di considerare quel territorio una 
propria provincia, la situazione politica instabile e carica di tensione latente.
A Mitrovica, 300mila anime, si percepisce tutta l'astrazione del Kosovo come entità a 
sè stante: la città è spaccata in due, con la rappresentanza serba a nord e quella 
albanese a sud rappresentate da due diversi sindaci e con il confine tra le due 
enclavi rappresentato da un'aiuola, beffardamente battezzata "Giardino della Pace", su 
un ponte sorvegliato 24 ore su 24 che rende impossibile il transito dei veicoli.
E anche se il ponte in questione è prossimo alla riapertura nell'arco del prossimo anno, non tutti sembrano essere davvero d'accordo su questa prova di coesione e dialogo.
Come non bastasse, l'informazione è censurata ove non influenzata dalle forze 
politiche e l'esodo verso l'area Schengen è ancora quotidiana e non sempre legale, nè 
in carrozze di prima classe.




Non che la situazione attorno alla squadra che esordisce stasera sia paradisiaca: i 
migliori giocatori eleggibili sono sparsi per l'Europa, nei rispettivi paesi in cui le 
loro famiglie in fuga dalla guerra approdarono a suo tempo.
Su tutti la Svizzera, ove giocano i maggiori talenti prodotti nativamente dal Kosovo 
come Valon Behrami, Xherdan Shaqiri e Granit Xhaka che ha spiegato come a malincuore 
non avrebbe più potuto cambiare nazionale avendo giocato l'Europeo, facendo il gioco 
della federazione elvetica molto preoccupata da un possibile esodo dei propri 
giocatori che lascerebbe la nazionale allenata da Petkovic quasi in braghe di tela.
O come Januzaj, che invece ha scelto spontaneamente di rappresentare il Belgio.
O come i vari albanesi che potrebbero giocare per il Kosovo rischiando però di passare 
per traditori che lasciano la nave Albania sul più bello, con l'Europeo giocato e con 
nuove speranze di qualificazione in agenda.
O come il centrocampista del Chievo Hetemaj, arrivato in Finlandia poco più che in 
fasce e che non se l'è sentita di rispondere alla convocazione per giocare stasera 
contro la rappresentativa della sua terra natìa.

A prescindere da tutti i problemi di natura socio-politico-economica, la realtà dei 
fatti è che il Kosovo da stasera gioca per i Mondiali in uno dei pochissimi gruppi in 
cui avrebbe potuto essere inserito senza rischiare di causare cataclismi diplomatici 
quali ad esempio trovare Serbia o Bosnia, ma anche l'Albania nella quale giocherà le 
partite in casa, a Scutari, per l'inagibilità a questo livello dell'impianto di 
Pristina.

E allora per un'ora e mezza si possono anche lasciare i guai fuori dalla porta e 
lasciare che l'orgoglio di avere una rappresentativa in giro per il continente 
prevalga.
Benvenuto in Europa, piccolo Kosovo: le grandi storie, a volte, iniziano anche così.


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