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sabato 6 gennaio 2018

Questa non è un'esercitazione




Questa non è un'esercitazione, Inter.
Adesso va capito che così non è più sufficiente, che la squadra titolare così ben inserita nelle logiche di un campionato che si è mangiata per qualche mese sta perdendo i pezzi e non solo non ci sono i pezzi di ricambio, ma molto spesso mancano anche le toppe.
Adesso va capito che l'artiglieria è scarica, le munizioni non arrivano e i fucili fanno cilecca mentre, come a Firenze, ci trinceriamo nella speranza di schivare i colpi senza troppe chance di ribattere.
Non c'è da scherzarci, Inter: in questa fase si prenotano i piazzamenti finali e non si può dire che non lo sapevamo, che dobbiamo sempre barcamenarci, che dobbiamo sempre arrangiarci, reinventarci, giocare d'azzardo ancora una volta.
Questa non è un'esercitazione.

L'undici titolare vale il quarto posto? Sì e non ho dubbi. L'idea di calcio è buona, gli interpreti sono all'altezza, l'Inter al completo e in condizione suona una musica che non ha forse la delicatezza dei violini, ma ha certamente la potenza delle percussioni e di un assolo di Stratocaster: tanto basta per portarsi a casa il concerto.
Le cose però non stanno più così: l'Inter ha perso i pezzi, molti di quelli che ha mantenuto sono ai minimi termini, chi a livello fisico e chi a livello mentale.
Prendete Perisic: il fatto che non si percepisca nemmeno una sua idea di saltare l'uomo dice tutto su come mente e gambe non stiano assolutamente comunicando tra di loro. E' un problema su cui ha piena responsabilità Perisic? O è la mancanza di un'alternativa ad esporlo a chiacchiere e critiche?
Se penso a come giocava El Shaarawy nella Roma a fine ottobre e a come gioca adesso, trovo la risposta: la condizione non è uguale tutto l'anno e seguendo l'esempio del Faraone, ci deve essere a un certo punto un Perotti che toglie le castagne bollenti dal fuoco a chi è stato incisivo fino a quel momento e a un certo punto non riesce più ad esserlo.
E non si può abbozzare ancora a lungo, né fare finta che non possa accadere ancora sia a Perisic che ad altri titolari. Perchè poi si vede quando alterni Candreva, inventandoti Joao Mario al suo posto, che tra le riserve manca completamente la progettualità tecnica.


Questa non è un'esercitazione, è qualcosa di molto più importante.
Nel corso del match contro la Fiorentina ho visto un'Inter che a baricentro alto perdeva tutte le distanze dietro e soprattutto sulla trequarti in cui per 45 minuti hanno banchettato a turno i vari Chiesa, Benassi, Simeone, Veretout.
Poi ho visto altri 45 minuti in cui l'abbassamento del baricentro ha messo una pezza sulla trequarti, ma ha affidato l'attacco a ripartenze estemporanee e disorganizzate: non è stato mai possibile vedere una doppia fase fatta bene, ad eccezione di chi ci ha provato con generosità come Cancelo e Borja Valero, non a caso gli stessi che erano emersi contro la Lazio.
Trincerandosi negli ultimi 25 minuti di partita, ho intuito abbastanza in fretta la grossa anomalia che stava per prendere forma: non c'era alcuna possibilità di controbattere l'assedio, nessuna. Non c'era un contropiedista affidabile, un frangiflutti, un giocatore abile a portar su la squadra per prendere fallo e giocare col cronometro, non c'era un jolly da utilizzare per costruire un modulo più consono, un corazziere da inserire per prevenire le minacce dei duelli aerei.
Non c'era nulla: c'era la Fiorentina con cinque offensivi in campo tutti assieme, con Astori a fare il trequartista e c'era dall'altra parte l'Inter raccolta in venti metri, a volte quindici, con Santon ultimo baluardo fuori ruolo, una difesa dai meccanismi completamente improvvisati causa interpreti inediti e qualcuno che solo riuscendo a ripartire a testa bassa avrebbe trovato comunque il modo di mettere un compagno in condizione di segnare nella steppa sconfinata che la Viola aveva lasciato nella sua trequarti.
E se al posto di Candreva ci fosse stato un uomo più in confidenza con la porta, oggi probabilmente queste cose le staremmo dicendo col tono del pericolo scampato ma da non sottovalutare.
E invece no, non l'abbiamo sfangata e il problema filosofico sta tutto qua: l'Inter deve essere costruita per chiudere una partita, non per sfangarla di continuo.
Non possiamo sperare, pregare, improvvisare, reggere l'emergenza ancora a lungo e soprattutto non avremmo dovuto farlo ieri sera, quando i tre punti valevano anche la possibilità di ricevere la Roma con almeno due punti di vantaggio.


Ora che siamo nel vivo e che i sistemi di allarme si sono già accesi, non possiamo far finta di niente e dire ai passeggeri con sicurezza che c'è una turbolenza temporanea. Siamo quasi al punto in cui abbiamo un principio di incendio in cabina e non sono stati installati gli estintori per poterlo fronteggiare prima che abbia conseguenze irreparabili.
Non siamo in un simulatore, questa non è un'esercitazione.
Non ci servono per forza strumenti e soluzioni di primissima scelta che, in quanto tali, costano cari, no: adesso la questione è diventata molto più basilare, si tratta di coprire le necessità, si tratta di capire che se c'è un traguardo da raggiungere di corsa servono anche le scarpe per correre, senza affidarci a calzature adattate perchè non ci si può fermare a dirci quanto ci fanno male i piedi.

La squadra ha fatto quello che doveva, che poteva, che voleva finché c'è stato il modo per poterlo fare, ma adesso l'usura è evidente e non si può più coprire con soluzioni improvvisate.
Una proprietà può avere tanti problemi imprevisti, ma ha anche tante responsabilità acclarate ed una di queste è intervenire sulle reali necessità della squadra: non c'è negoziazione, non c'è via di mezzo, non c'è un'altra soluzione.

Questa non è un'esercitazione, Inter.
E se abbiamo una sola occasione per dirlo forte e chiaro, questo è l'unico momento sensato in cui giocarcela.
Palla a voi.