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lunedì 16 novembre 2015

Ça va sans dire


Oggi ce l’ho avuta la tentazione.
Di tornare a parlare di calcio, di distrarre chi ha la pazienza di seguirmi da un weekend troppo impegnativo, di chiedere se contro il Frosinone sarebbe stato più decisivo Jovetic o Icardi.
Però, ci sono cerchi che vanno chiusi e a questo cerchio non sarei mai riuscito a dare una forma se avessi lasciato i pensieri anche più grandi di me in sospeso.
Questa è la croce di chi mette nella scrittura tutto quello che ha, il fatto di non riuscire mai a chiudere diversamente da carta e penna qualsiasi cosa crei un’emozione.
Così, per riuscire anche un po’ a fare pace col fiume emotivo che mi ha pervaso negli ultimi due giorni, devo svestire i panni ingessati di quando gioco a fare il giornalista e parlare a briglia sciolta in modo più intimo, più personale e più emotivo di tutta questa follia che ci restituisce un mondo inevitabilmente più pesante in ogni suo gesto.
A te, che stai leggendo queste parole, chiedo una cortesia: immagina che ne stiamo parlando davanti ad una birra in un pub. Immagina che sia un brain storming senza presunzione né assunzione di verità. Immagina di poter ricevere determinati concetti in un modo genuino e fine a se stesso. E mettili anche in discussione, se necessario; scrivendoli te li sto consegnando proprio perché tu possa restituirmeli in un contorno e in una forma nuova. Perché io e te insieme, a menti unite, si trovi una spiegazione che ci possa aiutare a capire il mondo che verrà, senza liquidare qualcosa di così disarmante dietro slogan preconfezionati e festival delle banalità.

Per raccontare questa storia parto da una domanda: come facciamo ad essere ancora a questo punto? Nella notte del silenzio, quella che ha steso lenzuoli bianchi non solo sui corpi ma anche sulle convinzioni, ho passato ore a cercare una risposta rassicurante, immaginando questa risposta come la avessi dovuta dare dare ad un bambino che, nella sua trasparenza, è curioso di capire da che parte si deve girare per trovare il suo posto nel mondo.
Mentre in molti si affrettavano a mettere paletti, erigere muri e costruire trincee, questa domanda me la sono posta ampliando il raggio sull’intera umanità perché a me è parso subito chiaro che andando al nucleo dell’accaduto quello che si trovava era un fatto umano, più che razziale.
Il Bataclan, in particolare, mi ha letteralmente pietrificato soprattutto perché il mondo dei concerti rock è stato il mio mondo principale per una intensa fase della vita e l’immedesimazione è stata istantanea.
Ecco, l'immedesimazione: è stata l'immedesimazione a farci elaborare quella psicosi che ha invaso tutte le superfici su cui si poteva scrivere qualcosa, quella voce che ti dice “potevi essere tu” o forse peggio: “poteva essere tuo figlio”. Questo ci ha smosso inermi come schegge impazzite, in un flusso talmente veloce e disordinato che chi ne ha voluto far parte ha scritto di getto cose su cui non si è preso il tempo di ragionare.
Perché io alla matrice religiosa ho trovato da subito tanti, troppi buchi: perché mai colpire Parigi, la capitale europea insieme a Londra più multirazziale ed eterogenea in fatto di religione, quando si potevano colpire gli headquarters del cristianesimo a Roma o la Polonia, avamposto de facto del cattolicesimo europeo?
E ancora: come si poteva pur in quei momenti convulsi non pensare che al Bataclan fosse rimasto steso anche qualche musulmano, dal momento che in Francia il numero di praticanti islamici (e non islamisti) supera i 5 milioni di unità?

Si sparava ancora a Parigi mentre in Italia si cominciavano ad emettere le sentenze per direttissima: ho cercato di traslare tutto quanto sul piano reale e non ci è voluto molto per annusare che i morti di Parigi, ormai, erano finiti sullo sfondo di un catino di individualità in cui il grido era “si salvi chi può” senza neanche il “prima le donne e i bambini” che si usava ai tempi dei galantuomini.
Armiamoci e partite, insomma: nessuno deve essere risparmiato, occhio per occhio e dente per dente. Ironico come la legge del taglione sia un precetto prettamente islamico e sia stato tarato per l'occasione su individui scopertisi all'improvviso paladini armati del cattolicesimo.
Trascendere in polemiche è tuttavia un esercizio a cui mi sono colpevolmente abbandonato a bocce ferme e che non inquadra il problema come l'ho riscontrato io, cioè che i morti non sono mai interessati realmente se non per diventare targhe su un muro.
Come lo è diventata Daniela Bastianutti, vittima del terrorismo di Al Qaeda a Sharm el Sheikh nel 2005, come lo è diventata Benedetta Ciaccia negli attentati di Londra dello stesso anno e come suo malgrado diventerà Valeria Solesin quando di acqua sotto il Pont Neuf ne sarà passata abbastanza.
No, ai commentatori seriali degli attentati di Parigi interessava soprattutto la salvezza dell'individuo e viene il dubbio che quella straordinaria iniziativa #PorteOuverte non avrebbe funzionato in un luogo dove l' "effetto spettatore" è solitamente il primo se non l'unico scenario preso in considerazione.
Senza sprecare tempo a parlare delle bassezze di certa politica e di certa informazione, mi ha piuttosto colpito il concetto de “il modello francese ha fallito” espresso prima ancora che le teste di cuoio risolvessero la situazione in città.
Se non avessi trovato fuori tempo e fuori luogo l'obiezione, avrei sicuramente chiesto ai depositari di tale verità come invece sia fiorito il modello italiano, figlio di una classe dirigente italianissima che ha forzato i suoi figli ad emigrare a volte anche in Francia alla ricerca delle possibilità che qui gli sono state negate.
In fin dei conti c'è sempre un problema terroni, albanesi, immigrati da far diventare bersaglio facile per deviare il tiro e non prendersi certe responsabilità.

Tornando al punto, in quel momento di psicosi collettiva dagli effetti individualisti, mi è tornata in mente una giornata molto particolare: l'8 ottobre del 2001.
Quella mattina nebbiosa seguiva una sera in cui i telegiornali avevano trasmesso in edizione straordinaria le immagini dell'attacco americano a Kabul in risposta all'11 Settembre. Scoppiavano bombe, morivano persone ma il contesto era tutt'altro rispetto a quello di venerdì: sollevato o addirittura quasi festoso perché fissare un'immagine contrastante a quelle dell'11 Settembre equivaleva a pensare di avere vinto contro i terroristi.
A nessuno interessava realmente dove era avvenuto il bombardamento, per quel che si sapeva poteva essere avvenuto in Kiribati o alle Isole Svalbard, ma era avvenuto e il sogno americano era tornato a vincere.
Quella mattina, quella dell'8 ottobre, io ero nella 5°B del mio istituto tecnico a fare lezione quando alla seconda ora entra una compagna di classe che annuncia tremando: “i terroristi hanno fatto saltare un aereo a Linate, ci sono migliaia di morti, io vi saluto e scappo”.
Panico totale: non c'era internet sui telefonini, non c'erano social network, non c'era persino niente da vedere fuori dalla finestra con tutta quella nebbia. Fino a quando non sono tornato a casa ho creduto dentro di me che Milano fosse sotto attacco salvo poi realizzare che si trattò di un incidente.
Anche allora la psicosi prevalse, ma allora dell'Islam non sapevamo veramente nulla, se non che dirottavano aerei per buttare giù torri: anche le pagine web di allora erano tutto sommato poche e con informazioni frammentarie.
Nei 14 anni che sono passati da allora l'umanità occidentale ha “esportato la democrazia” uccidendo civili in diversi stati islamici per poi fare marcia indietro e dire che fu un errore farlo. 14 anni dopo abbiamo tutte le informazioni a portata di mano per non ripetere certi errori.
Grazie alla tecnologia possiamo sapere chi sono i terroristi, chi li ha finanziati, cosa vogliono, come agiscono, perché agiscono ma continuiamo a seguire gli istinti e a scambiare i terrorizzati in fuga per i terroristi in avvicinamento.
Abbiamo fatto un salto impensabile a livello tecnologico nella stessa misura in cui abbiamo subito un'inconcepibile regressione a livello umanistico, che può forse fornire un'esaustiva quanto amara risposta alla mia domanda iniziale: siamo ancora a questo punto perché come umanità non abbiamo operato nessuna vera evoluzione.


Ora che questa birra immaginaria l'ho quasi seccata, amico mio, è tempo che ti dica spicciamente quello che penso: penso che a forza di tirar fuori pensieri sconnessi, stereotipati e fortemente condizionati abbiamo fatto il gioco dei terroristi, che volevano esattamente la nostra paura nella quale sguazzare.
Penso che mentre ci affrettavamo a pubblicare immagini con lo sfondo del tricolore francese abbiamo sputato sopra i principi di egalité e fraternité, come non fosse bastato assistere alla sottrazione della liberté.
Penso che forse ci si doveva fermare a guardarsi in faccia, senza dirsi nulla perchè nulla davvero c'era da dire più di quanto gli eventi non avessero già fatto.
Penso che il silenzio è d'oro e noi lo abbiamo svenduto ai peggiori offerenti.
Penso e basta, perché inesorabilmente tutto questo ça va sans dire.

sabato 31 ottobre 2015

Nessuno è più importante della squadra


Insieme.
Si vince, si perde, si abbraccia la gloria o si è travolti dalla tempesta insieme.
Essere una squadra non è una faccenda per supereroi incaricati di salvare il mondo con poteri che nessuno possiede, quanto più per eroi normali, eroi che riescono in qualcosa di straordinario attraverso l'intuizione di poter essere protagonisti insieme là dove da soli andrebbero incontro al convenzionale fallimento di chi ha creduto di poter fare tutto da sè.

"Lupatelli; Moro, D'Anna, D'Angelo, Lanna; Eriberto, Corini, Perrotta, Manfredini; Marazzina, Corradi". Starete riconoscendo buonissimi giocatori, ma trovate forse un grande campione consegnato alla storia del calcio in questo elenco? Eppure questi uomini ed i loro comprimari sono ricordati come una sola cosa, un'entità chiamata Chievo dei Miracoli che come entità si è consegnata alla storia del calcio, quantomeno di casa nostra, nel momento in cui gli uomini che la componevano hanno capito che da soli non avrebbero avuto mezzi e forza per poter essere associati ad un'impresa fuori dal comune.
E gli esempi non finiscono certo qui: pensate al Camerun di Italia '90, al Deportivo Alaves della Coppa Uefa 2001, Al Senegal ed alla Turchia del 2002, alla Grecia di Euro 2004, al Borussia Dortmund di Klopp, all'Atletico Madrid di Simeone.
O più semplicemente pensate all'Inter del Triplete e chiedetevi se avrebbe potuto raggiungere tale magnificenza senza un Eto'o che accetta di rinunciare al suo ruolo di affermata e conclamata prima punta per essere funzionale al collettivo facendo il terzino.
Tutte realtà ove il singolo ha scelto di spostare i riflettori sui compagni piuttosto che tenerli su di sé, tutte realtà che, se non hanno vinto, hanno stupito e attirato chi li stava ad osservare, tutte realtà che hanno portato ad esclamare: "Questa è una squadra!".

Quando c'è una squadra ci può essere spazio per i problemi del singolo solo nel momento in cui suddetto problema diventa critico per il collettivo, quando c'è una squadra non importa chi passa il pallone a chi purché quel pallone sia vincente, quando c'è una squadra ci sono uomini a credere che il risultato da raggiungere insieme sia immensamente più alto del risultato a cui si arriva da navigatori solitari.
Come un'orchestra, perfettamente sincronizzata ed in cui anche il più piccolo strumento è importante.

La domanda é: oggi l'Inter è un'orchestra? E, se lo é, sta davvero cercando solisti?
L'Inter è un'orchestra, o quantomeno ambisce ad esserlo, ma è incompleta: non mancano i percussionisti, quanto più archi e violini e ci si deve arrangiare nel trovare un ritmo consistente anche senza dolci melodie.
Se c'è una cosa che però adesso non serve sono i solisti, giacché si possono fare tutti gli assoli del mondo ma non saranno mai efficaci e funzionanti se non seguono il ritmo di chi sta battendo su tamburi e percussioni.
Oggi ho l'impressione che quel solista vorrebbe essere Mauro Icardi quando al pubblico fa sapere che se gli danno il tempo lui l'assolo lo farà, ma ho anche l'impressione che sarebbe decisamente più utile cambiare la prospettiva, intuendo che la musica suonata dall'orchestra non è finalizzata all'assolo del solista, ma alla melodia collettiva.
E che è proprio l'assolo del solista a dover cercare i binari di tempo e spazio in cui andarsi ad inserire, altrimenti finisce che l'orchestra rinuncia all'assolo per suonare una musica forse meno coinvolgente, ma quantomeno efficace e coordinata.
L'Inter non è certo una filarmonica da grandi teatri, ma ogni volta che Icardi smette di suonare perché la melodia non è quella che desidererebbe è come se autorizzasse implicitamente ognuno ad andare per conto suo.
Il Capitano dell'Inter può essere il primo a mollare lo strumento, far volare lo spartito e salutare la compagnia?

Solo questo vorrei dire a Mauro Icardi: nessuno è più importante della squadra.
Questa sera, nella notte di Inter-Roma, lo vorrei vedere proprio come nell'immagine qua sopra tendere la mano verso il compagno, rassicurarlo sul fatto che sarà lui a condurlo verso orizzonti di vittoria, a confortarlo sul fatto che l'Inter è una squadra e come una squadra deve costruire la sua storia.
Con quella mano tesa, che non significa "ci penso io" quanto più "venite con me e andiamo a vincere".
Andiamo a vincere.
Insieme.




domenica 25 ottobre 2015

Gioventù bruciata: lo stato comatoso del calcio giovanile in Italia




"Non si pensa mai ai nostri giovani, ai nostri vivai, siamo affetti da esterofilìa".
Sono le parole che sentiamo una volta a settimana (per stare stretti) rimbombare dalle trombe gonfiate dei nostri media più grossi e influenti, senza che poi si vada realmente a spiegare l'iceberg che fa emergere questa punta.
Perché forse non conviene poi così tanto al sistema calcio che si faccia emergere il backstage di uno spettacolo sempre più prodotto e sempre meno spontaneo, a partire dallo stato comatoso in cui versa oggi il calcio giovanile.

Se ne è parlato in profondità all'Arena Civica "Gianni Brera" di Milano sabato 24 ottobre, in una mini convention a cui sono stato fiero di partecipare e dove non ho visto telecamere né noti taccuini a prender nota di quanto si stava dicendo a proposito di Giovani Promesse e di dove va a parare il calcio moderno (questo il nome dell'evento).
La copertura mediatica totalmente assente si sottolinea nel fatto che l'evento non è stato annunciato né riportato in nessun trafiletto di alcun quotidiano o sito web.

Il discorso portato avanti da Felice Accame, docente di Teoria della Comunicazione presso il centro tecnico della FIGC, è stato concettualmente semplice nella sua ricchezza di linguaggio: il calcio giovanile non è nient'altro che un ascensore sociale, a volte una fastidiosa anticamera di chi insegue il mondo dorato del professionismo ad alto livello pensando che magari sia un diritto dovuto e che questa è una caratteristica che non riguarda solo i ragazzini ma anche gli allenatori.
I ragazzini, poi, non decidono da soli un'ambizione di cui non possono avere la fotografia completa e formata, quindi va da sè che dietro l'eccitazione di un ragazzino c'è un genitore che carica a testa bassa perché il sangue del suo sangue arrivi dove magari non è mai riuscito ad arrivare lui, in un mondo spettacolarizzato.
Un mondo dove nei corsi di formazione ai DS, spiega sempre Accame, l'argomento ormai cruciale è quello dei diritti Tv che questo prodotto lo devono vendere e non è raro che si inviti al finto litigio tra allenatore e giocatore per rendere più appetibile l'immagine dagli spogliatoi, una delle altre diavolerie di contorno al calcio di cui tutti potremmo fare a meno (come ne abbiamo fatto tranquillamente a meno fino a un lustro fa) e che viene invece pubblicizzata come una grande ed irrinunciabile esclusiva.

Sul fatto dei genitori troppo spinti ha parlato con dovizia di particolari Sanzio Anzani, Responsabile Tecnico Pre-Agonistica P.D.Cimiano che con questo problema nella sua scuola calcio ha a che fare tutti i giorni e che assicura come la valenza pura del calcio sia ormai irrimediabilmente svanita, perdendo totalmente di vista perchè un bambino dovrebbe giocare a pallone per se stesso e la sua formazione attraverso lo sport, piuttosto che per riempire i vasi spesso di coccio che gli fanno dalla tribuna le richieste più assurde.
Ad esempio, spiega Anzani, capita di vedere bimbi del 2010 che si sono avvicinati al calcio da tre settimane che, in una partita 5 contro 5 senza alcuna pretesa, vengono ripresi dai genitori perchè non fanno il contromovimento ad evitare la marcatura avversaria.
Bambini di cinque anni che sono ostaggio di genitori-allenatori in preda a deliri di onnipotenza ed imposizioni tattiche che non hanno alcun senso di esistere: come se a un bimbo alla prima lezione di chitarra venisse imposto l'assolo di "Smoke on the Water" e guai a sbagliarlo.
Una bella fotografia della totale irragionevolezza e schizofrenia in cui le nuovissime generazioni stanno crescendo.
Non c'è bisogno di andare molto lontano, comunque: provate ad andare a seguire una partita di ragazzini nel campo più vicino a voi e nove volte su dieci vedrete genitori che dicono e fanno cose ben peggiori dei tanto additati ultras, soprattutto perchè lo fanno di fronte ai loro figli: una logica in cui l'avversario di turno diventa un nemico da cancellare ad ogni costo e con ogni mezzo ed in cui il messaggio che passa è che il fine giustifica sempre i mezzi e che la competizione spinta può calpestare senza problemi i valori che lo sport, per come lo intendo io, dovrebbe trasmettere.



Finisce che poi i bambini si rompono le scatole e abbandonano: in un'esperienza di un bambino di 10 anni raccontata dalla scrittrice e drammaturga Elisabetta Bucciarelli, traspare tutto meno che il sacrosanto divertimento che il pallone dovrebbe dare all'infanzia.
In nome della vittoria si può anche non parlarsi e non fare gruppo, in nome della vittoria si può essere portati in trionfo se va bene o essere caricati di critiche e pressioni se va male.
Questo è raccontato dall'esperienza: un bambino che si allontana irrimediabilmente dal calcio e dichiara di non essere pentito, perché a fare il professionista senza averne l'età e il dovere, il gioco non vale più la candela.

Per un caso come questo ce ne sono un'infinità di altri dove lo spiraglio di ascesa sociale fa la differenza: lo spiega benissimo Luca Vargiu, autore e intermediario sportivo, quando dice che ci sono 600mila ragazzini che giocano e 2500 posti tra i professionisti, molti dei quali restano occupati per 10-15 anni.
Non serve essere matematici per capire che il rapporto è sbilanciato in maniera imbarazzante verso chi non ce la farà, ma guai a tentare di spiegarlo: l'intermediario deve vendere la possibilità che invece sia tutto semplice e fare così soldi e carriera maneggiando i sogni degli altri, questa è la situazione che alla fine rimane del calcio giovanile.
Con genitori che pettinano i loro bimbi come Vidal e li espongono come fenomeni circensi a fare doppi passi ed elastici nei video che mandano agli intermediari come Vargiu per sponsorizzare le loro creature.
Se l'intermediario li informerà che farcela sarà durissima è lui a sbagliare nel dire la verità, perché in questo mondo fatto di chiacchiere ed ipocrisie c'è anche chi si è convinto che sia meglio vivere in un incantesimo piuttosto che adeguarsi alla realtà.
E dunque, continua Vargiu, si crea un vero e proprio listino prezzi: pagare per giocare, una pratica diffusa e taciuta nei piani bassi del professionismo.

In questa finanziarizzazione spinta, descritta da Pippo Russo che ai frequentatori del mio blog è un nome arcinoto, oltre a creare un percorso totalmente diseducativo in relazione se orientato ai valori dello sport succede anche che ci siano diritti di formazione rivendicati da più parti nel momento in cui il ragazzino diventa un uomo pronto al grande salto: ecco come un giovane calciatore italiano fa schizzare la propria valutazione, in modo che chi gli è stato intorno concretamente o meno riesca ad aggiudicarsi una fetta della torta.
Non stupisce allora se nelle giovanili diventa più conveniente e semplice andare a pescare il ragazzino africano, che costa pochissimo alle Società e non necessariamente guarderà schifato l'intermediario se gli si dice che ci può essere posto per lui nei campionati dilettantistici come invece succede spesso, secondo quanto riferito da Vargiu, se questa proposta la si fa a ragazzi e genitori nostrani.

Il fatto che poi ci sia una formazione di qualità, riferisce Accame, importa poco e niente alla FIGC che non aggiorna i corsi di formazione su elementi fondamentali per la crescita dei ragazzi da almeno 30 anni, quando fu introdotto un corso sulle tecniche di comunicazione essenziali per spiegare ai ragazzi nel modo giusto i principi di tecnica e comportamento calcistico.
Conta invece la quantità delle formazioni, pur essendo queste spesso il veicolo per spiegare come si possa diventare un possibile ingranaggio di uno show business che mentre mostra la faccia migliore alle televisioni vede una miriade di società dilettanti e professionistiche chiudere bottega dall'oggi al domani.
I media, poi, saranno sempre meno avvezzi a controllare queste situazioni visto che esistono partnership, come ad esempio quella tra il Corriere dello Sport e la FIGC, che non dovrebbero mai esistere, dal momento che il controllante ed il controllato non dovrebbero mai stringere accordi commerciali per non incorrere nel famigerato conflitto di interesse.


Il calcio giovanile in Italia sembra oggi un paziente in coma a cui viene messa una flebo ogni tanto per non interrompere le funzioni vitali minime, mentre fuori dalla stanza in cui è ricoverato c'è un gran vociare di dotti, medici e sapienti che litigano sulla cura senza mai visitare il paziente, perchè in fondo se il paziente si riprende può anche essere che posto per i loro ruoli e le loro opinioni domani non ci sia più.

"
Non si pensa mai a nostri giovani", dicevamo.
Se dicessimo però "non vogliamo pensare ai nostri giovani" saremmo meno ipocriti e più concreti.

mercoledì 21 ottobre 2015

Caro Bucchioni, ecco perchè sull'Inter non mi ha convinto




Caro Sig. Bucchioni,

le scrivo una lettera aperta nel tentativo di confrontarmi con lei su alcuni temi che ha recentemente trattato, senza alcuna presunzione e nel massimo rispetto della sua figura.
Ritengo opportuno un preambolo di presentazione: ad oggi sono un blogger, giornalista pubblicista in qualifica e quando lei ha iniziato ad esercitare la professione io non popolavo questo pianeta.
Tuttavia oggi ho un'eta sufficiente per avere un barlume di ragione, qualche collaborazione su qualche sito sportivo, qualche conoscenza sull'universo calcistico sviluppata attraverso letture, studi e fortunati incontri, pochi(ssimi) emolumenti e un blog attraverso cui esprimermi liberamente.
Non mi nascondo nel dire che sono un tifoso interista dalla nascita e che ho spesso abusato di tale posizione per prendere le difese del club quando maltrattato, ma oggi non sono qui per difendere l'Inter ma per difendere la buona informazione, basata su fatti e riscontri.
Ho la fortuna e il privilegio di poter seguire le vicende della mia squadra da vicino e dovendo costruirmi una credibilità sufficiente da garantirmi il proseguio di questa avventura non posso fare altro che documentarmi continuamente su quanto accade all'interno ed intorno al club.

Ieri sera su imbeccata di un professionista che stimo e da cui cerco di imparare qualcosa come Andrea Montanari, ho seguito la puntata di Calcio € Mercato su Sportitalia e mi sono trovato ad ascoltare i suoi interventi ponendomi delle domande sulla totale dissonanza di contenuti tra quanto stava esprimendo lei e quanto ho riscontrato io ed altri miei simili con cui c'è stato confronto sull'argomento.
Ho seguito in diretta la trasmissione e ho trovato poi la trascrizione delle sue parole sul sito InterNews e su queste vorrei proporle il mio punto di vista, argomentando perchè il suo intervento non mi ha affatto convinto.
Vado con ordine:

«Mi sembra che l’Inter abbia investito molta su se stessa, che pagherà fino al 2017 i giocatori che ha acquistato quest’estate. Se non dovesse andare in Champions League, sarebbe una situazione allucinante. Il caso Parma potrebbe non essere l’ultimo in Italia»


Partirei dal fondo: il paragone con il Parma.
Ora, che il Parma (e con lei 75 club tra Serie B e Lega Pro in 7 anni, tra l'altro) sia fallito lo sappiamo tutti ma sul perchè sia fallito aprirei un piccolo dibattito con lei.
Punti di contatto tra Parma e Inter ne vedo veramente pochi, a partire dall'ordinamento giuridico che contrappone la Srl che fu il club ducale alla Spa che è tuttora il club nerazzurro. Non è un particolare da poco, considerando che per costituire la prima serve un capitale sociale di almeno 10.000 euro e per dar vita alla seconda il capitale dovrebbe essere 5 volte maggiore.
Il Parma nell'estate 2013 aveva 230 giocatori a bilancio nel tentativo di formare una sorta di network internazionale utilizzando come sponde Gubbio e Nova Gorica (Slovenia), valore a cui è stata data una decisa sforbiciata a seguito della nota non concessione della licenza Uefa. Inoltre nella medesima stagione il mercato dei ducali ha avuto un saldo netto di € 55 milioni in ricavi ed € 108 milioni in costi.
L'Inter ha sicuramente una situazione di squilibrio finanziario da sistemare, ma di cartellini sotto controllo ne ha molti meno nonostante la Società sia maggiormente strutturata e popolata di quella del Parma; inoltre non ha portato i suoi debiti da 16 a 197 milioni in otto anni mantenendo lo stesso giro di affari come operato dal club ducale e nessun revisore ha finora evitato di garantire la continuità aziendale, che per l'Inter è garantita almeno fino al Novembre del 2016.
Le lascio quindi in eredità una domanda: come esattamente la situazione gestionale ed amministrativa dell'Inter potrà mai assomigliare a quella del Parma?
La Champions League è urgente, ma la situazione allucinante a cui lei ha fatto riferimento è possibilmente rattoppabile con qualche cessione eccellente, con almeno tre giocatori che ad oggi possono superare i 25 milioni di Euro di valutazione, portando in cassa quanto non introitato dalla Champions League con lo svantaggio di un ridimensionamento tecnico e con l'aggravio di un possibile provvedimento Uefa.
Come nota a margine, cosa detta da nessuno ieri in studio, aggiungo che durante la sessione di mercato l'Inter ha ricavato dalle cessioni una cifra maggiore rispetto a quanto ha effettivamente speso.
In un quadro come questo, i presupposti per un caso analogo a come si è strutturato quello del Parma sembrano assolutamente inesistenti: lascio a lei ogni opportuna valutazione in merito.


«Se Erick Thohir non fosse intervenuto due anni fa, l’Inter sarebbe fallita. Ha spalmato il debito di Massimo Moratti, ma i soldi da pagare restano e sono spese di una follia assoluta. Nel calcio uno più uno raramente fa due, ma non è certo che arrivi primo con la squadra più forte del Mondo. E l’Inter ce la fa ad arrivare prima o seconda?»


In aggiunta a questo virgolettato riportato dal sito citato più su, ricordo di aver sentito nitidamente una sua frase: "l'Inter oggi è tecnicamente fallita".
Vorrei oggi approfondire e chiederle cosa racchiude quel "tecnicamente fallita".
Io non sono né un analista né un lupo di Wall Street ma sono certo che ci siano delle leggi fallimentari che disciplinano tale materia e che andrebbe accertato uno stato di insolvenza che ad oggi nella holding controllante l'Inter non è riportata in nessun documento, né è mai stata certificata in passato.
Se il concetto si riferisse alla perdita c'è da dire che, fermo restando che i soci hanno sempre coperto integralmente le perdite, le perdite di bilancio non sono il presupposto del fallimento come invece è l'insolvenza, mai stata attivata fino a questo momento né dai creditori né da un PM.
Mi sento di poter dire che l'Inter non sia tecnicamente fallita come non lo era due anni fa, quando Moratti ripianò di tasca sua nell'ultimo CDA da Presidente dell'Inter circa € 80 milioni di perdite e quando Thohir era in procinto di entrare come azionista di maggioranza e non come commissario straordinario né curatore fallimentare.
Spero infine di trovarla d'accordo se le faccio notare con gentilezza che, se nel calcio giocato uno più uno può fare tre, in economia anche calcistica uno più uno farà sempre ed inesorabilmente due.



«Moratti è il responsabile di questa situazione e adesso fa la “furbata” per non tirare fuori altri soldi per quel 30%, in caso di aumento di capitale. Cerca di scappare ancora una volta, perché se c’è da capitalizzare verrà chiamato in causa ancora. Tutti aspettano, ma l’Inter è sull’orlo del fallimento, anche se ci dicono che non è vero. Anche andando in Champions League, 50 milioni non basteranno per riprendersi».


La "furbata" a cui lei si riferisce è scappare per non ricapitalizzare, ma non sembrerebbe un comportamento logicamente esplicabile nel momento in cui ci sono accordi di governance siglati durante il passaggio societario che indicano, tra le altre cose, come per un aumento di capitale nell'Inter ci sia bisogno dell'approvazione del 90% del CDA e quindi anche della parte di consiglieri legati al 30% che Moratti possiede.
Massimo Moratti può quindi scegliere di dire no all'aumento di capitale, come peraltro già fatto a cavallo tra il 2014 e il 2015, senza bisogno di scappare da alcun obbligo.
Questo peraltro è anche il motivo per cui c'è bisogno dei prestiti fruttiferi di Thohir che lei ha contestato durante l'intervento (l'alternativa è il bond di cui si è parlato in primavera).
Io non so dire con certezza se l'Inter sia sull'orlo del fallimento, anche se credo che il bilancio abbia riserve abbastanza capienti da assorbire le perdite, ma sono certo che non lo possa dire nemmeno lei perchè il dettaglio del bilancio consolidato, quello recante i 140 mln di perdite su cui il suo intero discorso è basato, non è ancora stato redatto né pubblicato e non è pertanto possibile verificare parametri come EBIT o Patrimonio Netto che sono indicatori piuttosto sintomatici sull'effettivo stato di salute o malattia di un'azienda.


«L’Inter come fa a fare mercato a gennaio? Con quali soldi? Il debito c’è e soprattutto c’è il rischio di sforare i parametri del Fair Play Finanziario. Quest’anno al Barcellona hanno bloccato il mercato, l’Inter è sulla stessa strada. Thohir presta i soldi all’Inter e chiede gli interessi? Mi sembra un’assurdità. Di mestiere fa il finanziere, se si stanca di fare questo “gioco”, cosa rimane dell’Inter?».

Questa, vorrei dirlo francamente, è la parte che mi ha lasciato più perplesso.

Il virgolettato non lo riporta ma la sua invocazione sul blocco mercato si riferisce a "la Fifa, che ha bloccato il mercato del Barcellona sulle stesse basi".
Ora: il Barcellona sta per sforare il tetto dei 600 milioni di ricavi, una cifra faraonica che Juventus, Inter e Milan non riescono a raggiungere da sole e che non riusciremmo a raggiungere nemmeno volendo unire gli sforzi delle nostre italiane più blasonate.
La Fifa non interviene peraltro su questioni economiche legate ai club europei lasciando il compito alla Uefa, giacché sul Barcellona prese il provvedimento per irregolarità nel trasferimento di calciatori minorenni e non certo per questioni amministrative.
C'è sicuramente il rischio di sforare i parametri del Fairplay finanziario, che non saranno però presi in esame prima del Giugno 2016, quando il bilancio dell'Inter non dovrà essere più oneroso di -30mln: io non so dire con certezza se tale parametro verrà rispettato ma anche qui sono certo che non lo possa dire nemmeno lei.

Il mio confronto con lei termina qui, Sig. Bucchioni.

Spero di aver espresso in maniera esauriente e senza acredine alcuna i miei dubbi sul suo intervento.
Non metto in discussione che alla fine della storia lei possa avere ragione, ma sono certo che se ciò accadrà non sarà per le ragioni da lei elencate ieri sera che, documenti e numeri alla mano, non rispecchiano la realtà delle cose.
In nome della buona informazione basata su fatti e riscontri, spero di poter avere meno perplessità in seguito ai suoi prossimi interventi.

Rispettosamente la saluto e le auguro buon lavoro.


Fulvio Santucci

martedì 8 settembre 2015

Che fine ha fatto Doyen? L'estate di Nelio Lucas tra affari e tribunali



"Nelio Lucas, non Doyen".
Ve la ricordate questa frase? Sui social network é diventata famosa nel corso di quest'estate dopo che Milan Channel la utilizzò in una sua grafica per fare in modo che il club prendesse le distanze dall'ormai chiacchieratissimo fondo di stanza a Malta.
Qualche mese dopo possiamo dirlo con più certezza: nel canale tematico rossonero non ci erano andati così lontani. Se il concetto in sé e per sé può difficilmente esistere, vero è che le strade dei due annunciati amanti di inizio mercato a un certo punto si sono divise per non reincontrarsi più, quantomeno pubblicamente, fino alla fine.
Mentre tiro un bel sospiro di sollievo e con molto conforto ritorno sui miei passi di inizio Giugno, vi racconto cosa ha fatto Doyen quest'estate senza certo parlare di vacanze.
Riavvolgiamo il nastro: è Giugno e c'è l'annuncio che riguarda la cessione del 48% del Milan a Mr.Bee che sceglie come advisor di mercato Doyen Sports, con tanto di tronfio annuncio da parte del fondo sul proprio sito internet.
Si rincorrono i nomi: Falcao, Brahimi, Gabigol e tanti altri in orbita Doyen per fare un grande Milan fin da subito. Il selfie che ritrae Galliani e Lucas su un lussuoso aereo privato sembra certificare l'unione, che dovrebbe sfociare in un affare molto redditizio per vestire di rossonero Jackson Martinez, per poi sferrare l'assalto a Kondogbia e concludere con il ritorno in pompa magna di Ibrahimovic.
Il sodalizio dura finchè in un nerissimo sabato di Giugno sfuma il colombiano, che va all'Atletico Madrid e sfuma anche Kondogbia in un derby cittadino vinto dai nerazzurri.
Da qui in poi tutto finito: nessuno a parte i protagonisti saprà mai con certezza l'esatta dinamica, ma nel dubbio la stampa fa a pezzi Lucas ritenuto responsabile delle due docce gelate e da qui in poi di Doyen e Milan non si parlerà più, anche se l'intercessione del fondo potrebbe aver facilitato l'affare Bacca (condizionale d'obbligo) visti gli indiscussi agganci con il Siviglia.
Anche se solo il bilancio rossonero potrà sopire ogni dubbio in merito, mi sbilancerei nell'affermare che a rigor di logica i soldi che girano non dovrebbero essere quelli del fondo, ma lo stanziamento messo a disposizione dai Berlusconi nell'ambito di una trattativa societaria ancora nebulosa e non giunta a conclusione.
Il crocevia nel day after la crociata di Montecarlo fallita dal Milan, Doyen cambia percorso e avvia un vero e proprio tour europeo tra affari e tribunali.

PORTO - Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Ecco, se Doyen era partita dal Portogallo e da Oporto per tentare di mettere le mani sul calciomercato europeo, è a Oporto che ritorna subito dopo aver abbandonato i radar rossoneri, divenuti ormai ostili.
Non che Doyen sia appannaggio esclusivo di un solo club per volta, chiariamoci, per i calciomercanti del nuovo millennio mettere il piede in più scarpe è una regola ferrea e intaccabile. Con il Porto però, la sinergia torna a crescere come un'estate prima. Al punto che Giannelli Imbula, giocatore che stava per firmare con l'Inter, viene prelevato dall'Olympique Marsiglia e spedito al Porto per una cifra assolutamente fuori da ogni possibile previsione: 25 milioni di Euro che sembrano una follia assoluta in un momento in cui l'OM era atteso da un'ispezione dell'organo di controllo gestione francese, equivalente all'obbligo di contabilizzare entro il 30 Giugno.
La sera del 29, invece, quando una normale transazione soggetta alle leggi di mercato avrebbe voluto che fosse il compratore ad avere le migliori condizioni vista la situazione del venditore, Imbula si muove a quella cifra e si sparge presto la voce che c'è lo zampino di Doyen come sgarbo all'Inter per risarcire il Milan. La verità è un'altra ed emergerà con più chiarezza settimane dopo.
Nel Porto in cui c'è la coabitazione forzata con Jorge Mendes, come in tutto il mercato portoghese, Doyen recita un ruolo importante nella mediazione che porterà al do Dragao Iker Casillas e Maxi Pereira (dal Benfica, non un dettaglio) e si congeda regalando nelll'ultimo giorno di mercato Jesus Corona, un messicano che veste la maglia del Twente e di cui Doyen possedeva i diritti economici fino al ban della Uefa (su cui torneremo poi): sarà un caso ma gli olandesi vedono solo una tranche di quei soldi, con la restante percentuale ufficialmente promessa per l'anno successivo, con il dubbio che rimane a proposito della cassa da cui verranno prelevati.
Poco più in basso qualcosa si era mosso anche a Lisbona sponda Benfica, un appezzamento privilegiato di Jorge Mendes che ha dirottato nelle casse del club lusitano i milioni di Lim nello shopping del Valencia.
A partire da Ola John, il giocatore che secondo molte versioni fece (indirettamente) incontrare nel 2013 Adriano Galliani e Nelio Lucas: con la necessità di dirimere la questione sulla proprietà del giocatore a seguito del ban della Fifa, il Benfica ha cercato per tutta l'estate di vendere il giocatore riuscendo solo ad ottenere un prestito a Reading durante l'ultimo giorno di mercato, con il risultato di un debito aperto di poco meno di 6 milioni nei confronti di Doyen per la percentuale che il fondo deteneva sul giocatore, che il Benfica si è poi impegnato a risarcire in più tranches.
Non é dunque così difficile intravedere una connessione tra il braccio di ferro per il rinnovo di Maxi Pereira col Benfica mai avvenuto ed il suo passaggio gratuito ai rivali storici del Porto curato proprio da Doyen, in posizione di forza visto il credito accumulato con il club di Lisbona.

OLYMPIQUE MARSIGLIA - Imbula, dicevamo: sgarbo all'Inter o favore all'Olympique Marsiglia? Tutto lascia pensare alla seconda ipotesi, perchè una cifra del genere alle condizioni già descritte sopra per un giocatore che in questo momento è dichiarato ancora lontano dall'ambientamento non è casuale in un mercato come quello attuale.
Doyen collabora con l'OM e le settimane successive lo chiariranno senza ombra di dubbio: al club francese Doyen "media" i trasferimenti di Manquillo dall'Atletico Madrid e di Lucas Silva dal Real Madrid, oltre a far muovere ancora una volta dal Porto il difensore Rolando, che l'Inter non riuscì a riscattare un anno fa.
Ci sarebbe stato anche tranquillamente spazio per Leandro Damiao, un altro pezzo "pregiato" della scuderia, se non fosse che il brasiliano si sia messo di traverso rifiutando la destinazione: ai piani alti del fondo non l'hanno presa benissimo.
Doyen e OM non si sono incontrati in questi mesi: già nel 2014 Nelio Lucas aveva espresso l'intenzione di sbarcare in Francia dove gli sceicchi del PSG e il Monaco fortemente condizionato dall'impronta dell'onnipresente Mendes avevano dominato il mercato.
A Marsiglia Doyen aveva ad esempio piazzato Doria, giocatore che Bielsa etichetterà come "non richiesto" e che in Costa Azzurra non lascerà tracce di sé.
Ed è forse proprio a causa, o concausa, di queste politiche societarie non totalmente concentrate sul campo che "El Loco" lascia la panchina marsigliese all'alba del campionato 2015/16: il posto vacante non sfugge a Doyen che il 19 Agosto lì vi sistema uno degli allenatori della sua scuderia, Michel.

SPORTING E FIFA: LE BATTAGLIE LEGALI - La torrida estate di Doyen non ha vissuto di soli affari, ma anche di diverse apparizioni in tribunale ove, caso strano, ha interpretato sempre la parte dell'accusata, sia essa riconducibile ad un'azione da parte di un club piuttosto che di un ricorso a seguito di un provvedimento limitante.
Doyen viene trascinata al TAS da Bruno de Carvalho, Presidente dello Sporting Lisbona, a metà Giugno per risolvere l'asprissimo contenzioso aperto dall'affare Rojo, secondo l'accusa forzato dal fondo e ampiamente antieconomico per il club lusitano.
Per l'occasione Doyen schiera in suo favore una lista di personaggi a testimoniare per la propria onorabilità: tra questi è il caso di citare il Presidente del Porto Pinto da Costa, che da queste colonne non è mai stato trattato con i guanti e che comunque con Doyen ha solo di che guadagnare (lui personalmente, si intende) e ben due ex dirigenti dello Sporting stesso tra cui l'ex Presidente Godinho Lopes.
Un caso più unico che raro di ex dirigenti di un club che vanno a testimoniare in favore di un esterno contro il club stesso. Il contenzioso è ancora in essere e non è di facile risoluzione, ma le accuse a carico di Doyen non sono esattamente morbidissime, nel momento in cui emergono dettagli inquietanti sulla vicenda e sul contratto-capestro che l'ha accompagnata.
Da Losanna a Bruxelles il passo è breve ed è lì che Doyen consuma un altro capitolo della sua estate a colpi di carte bollate, perdendo il primo round di una guerra contro la FIFA e il divieto TPO che ci accompagnerà per parecchio tempo.
Doyen manda in campo lo stesso difensore (l'Avvocato Dupont) e gli stessi argomenti (violazione dei principi di libertà dell'UE) che avevano fatto colpo sul tribunale di Prima Istanza di Bruxelles qualche settimana prima nell'ambito del ricorso Striani sul breakeven imposto dal Fairplay Finanziario ma questa volta la capitale belga non è terra di conquista, allorché lo stesso tribunale a fine Luglio dice no alle motivazioni Doyen riguardanti soprattutto la circolare 1464, definita "abuso di posizione dominante della Fifa".
La motivazione principale espressa dagli organi istituzionali è molto semplice e chiara: non c'è prova di violazioni delle leggi UE. Un verdetto difficile da digerire per Doyen che con Dupont, sempre quello della sentenza Bosman, era molto confidente di portare a casa un risultato migliore.  Anche questa guerra comunque è tutt'altro che conclusa, con il fondo supportato anche da Federazione spagnola e portoghese che ha minacciato tempesta attraverso il suo sito ufficiale.
Portogallo e Spagna, i feudi di Doyen: anche se non sono stati approfonditi in questa già lunga ricostruzione analitica, Atletico Madrid e Siviglia rimangono sotto la forte sfera di influenza del fondo, che anche per quest'estate gli ha quasi totalmente rivoluzionato la squadra.
Doyen c'è, insomma: sarà scomparsa dalle cronache ma di certo è ancora radicata molto bene nel mondo del calcio, reiterando quell'anomalìa finanziaria ormai sempre più vista come una regola a cui bisognerà porre ancora più freni prima che diventi ancora più problematica.

mercoledì 2 settembre 2015

Tabula Sparigliata


Ci scusiamo per l’inconveniente, ma questa è una rivoluzione.
Mi sono preso quasi 48 ore per far decantare i lasciti ereditari di un mercato che è andato come più o meno nessuno poteva immaginare, eccezion fatta per i protagonisti e che ha alimentato strada facendo mille voci ora decise, ora contradditorie che lo hanno accompagnato.
Senza Champions l'Inter è fallita, anzi no: contrordine, forse ce la fanno ma non spenderanno un euro, anzi no: precisiamo, forse spendono se vendono però non ci possiamo giurare, anzi no: non spendono più, Mancini ha detto che di giocatori bravi a poco prezzo non ce ne sono, anzi no: Thohir ha i conti alle Cayman, quindi scappa con il malloppo, anzi no: Thohir resta ma se ne va Mancini, anzi no: forse se ne vanno entrambi.
Un'estate italiana, oserei dire: chiacchiere sconfessate alla prova dei fatti, con i sassolini a volare dalle scarpe di chi ha opportunamente taciuto o semplicemente ha solo creduto da subito in un epilogo diverso.
Perchè alla fine di giocatori ne sono arrivati 10, un'intera squadra di movimento a totale misura dell'allenatore.

Prima considerazione: Mancini é stato ingaggiato per dare un indirizzo decisivo all'area tecnica ed ora ne abbiamo la totale controprova dal momento che la squadra è sostanzialmente a sua immagine e somiglianza.
Una schiera di marcantoni a fare da cerniera centrale per un attacco in bilico tra utilità tattica ed enorme tecnica, con una retroguardia totalmente rinnovata in termini di elementi ed affidabilità.
Funzionerà? i presupposti ci sono, ma ad oggi dirlo con certezza non si può davvero.
Tocca a Mancini, dopo che la Società ha fatto il suo (e che suo), prendersi la responsabilità di una squadra che ha pensato e voluto da capo a coda.

Ma come ha fatto esattamente l'Inter a comprare più di tutti?
Per tutta l'estate ho sentito dire "e il Fairplay Finanziario?" e ho pensato che si è fatto un capolavoro riuscendo a trasformare una cosa assolutamente lineare come la matematica in una bolla d'aria da peggiori Bar Sport, visto che questa storia del Fairplay Finanziario è passata di voce in voce e di penna in penna fino a diventare una sorta di custodia cautelare, ove la prima mossa fuori dal seminato scatena le rimostranze dei novelli giustizialisti della finanza.
Poco importava all'Inter che aveva già iniziato la sua campagna andando a prendere già in inverno quel Jeison Murillo che dopo la Copa America, di cui si porta a casa il riconoscimento di miglior giovane, forse sarebbe valso il doppio.
Poi Kondogbia, nella notte di Montecarlo in cui i nerazzurri hanno dimostrato che il lavoro sottotraccia ha un senso, visto che a riempire le prime pagine del francese con addosso la maglia del Milan c'è stato solo di che guadagnarci.
35 milioni sono tanti, ma anche il necessario per portare all'allenatore il profilo da lui indicato come priorità dopo la dipartita dell'affare Touré.
Via via che si avvicendavano i Miranda e i Montoya, iniziavo a leggere e a sentire considerazioni sul fatto che "tutti questi pagherò gli faranno fare una brutta fine".
Quando siamo al 2 Settembre "tutti questi pagherò" sono quattro: Dodò e Brozovic il prossimo Giugno, Miranda e Jovetic tra due anni.
E quasi tutti in pagamento dilazionato, senza che debba star qui a puntualizzare che i pagamenti sull'unghia li fai se ti chiami PSG, Man City, Man United e via dicendo, mentre per il resto del mondo conosciuto il "pagherò" è l'unica soluzione percorribile per permettere determinate operazioni.
Che talvolta nemmeno riescono: vedere alla voce Imbula, strappato dal Porto in un soffio per le migliori condizioni proposte.

In mezzo a tutte queste aperture di portafoglio, c'era una squadra intera in vendita: "Non entra nessuno finchè non esce nessuno" era diventato un mantra, nel sottobosco di trasferimenti rifiutati da parte di chi aveva già annusato il profumo di una squadra che sarebbe stata attrezzata per l'assalto ai vertici, quantomeno da tentare.
Qualche cessione si riesce a fare, altre continuano a dover essere rimandate e l'Inter inevitabilmente entra in empasse, evidenziando come unica possibile debolezza della sessione di mercato quelle tre settimane impiegate per cedere Shaqiri, riuscendo poi peraltro a farci plusvalenza, che forse la dirigenza non si sarebbe aspettata.
Si sarebbe comunque poi capito molto bene che trattare con i tedeschi (in quel caso lo Schalke04) equivale più o meno a bucare un blocco di granito con un onesto Black&Decker in mano.
Shaqiri ceduto, Jovetic arrivato e allora che si fa? Si prova a chiudere Perisic.
Sì, ma ci sono ancora i tedeschi di mezzo e con il Black&Decker se va bene di questo blocco di granito avremo ragione per l'Epifania, altro che il 31 Agosto.
Servono i cannoni di Navarone, altroché. O in termini calcistici, ad esempio, la cessione di Kovacic: 35 milioni allungati da Florentino Perez senza che nessuno si sia scomodato a dire che forse forse erano un po' troppi, anzi. Il messaggio che passa é che l'Inter vende i campioni in nome del bilancio mentre solo due mesi prima invece il Monaco aveva fatto un capolavoro a vendere un 22enne a quella cifra, pensa un po'.
Non sembra, ma con sole due operazioni l'Inter ha già tirato su quasi 60 milioni, inaugurando per sè stessa la tanto attesa epoca del resale value, cioè prendere un giocatore giovane e sapere di poterne rivendere il potenziale a tre volte tanto, cosa che ad esempio non era stata fatta tempo prima con Coutinho.

Nonostante una trattativa di logoramento e l'ansia di molti tifosi che avrebbero volentieri mandato a svernare il DS del Wolfsburg in luoghi poco ameni, l'Inter resta in Germania e colpisce, portandosi a casa Perisic: un altro azzardo che paga, dopo l'asta principesca per Kondogbia, a dimostrazione che in questa sessione se l'Inter si pone un obiettivo prioritario, lo conquista.
Mancherebbe giusto l'ultimo sforzo, ma non è facile: ci vogliono almeno una decina di milioni e la calcolatrice dice che il saldo della sessione potrebbe essere sforato.
Arriva in soccorso l'aiuto che non ti aspetti: la Juventus vuole Hernanes, giocatore tenuto in considerazione ma non certamente al centro del progetto tecnico, uno di quelli che sono l'esatta antitesi del resale value di cui si parlava sopra.
Bene, affare fatto: 11 milioni più bonus che vanno a finanziare Melo e Telles, trattati per tutta l'estate e lasciano il giusto per Eder che poi si complicherà a causa di patti mancati e porterà in dote Ljajic.

Risultato: 10 acquisti, uscite per quasi 87 milioni ed entrate per poco più di 90, che corrispondono a un saldo attivo di 3,2 milioni.
"E il fairplay finanziario?" Eccovelo. Fare in modo che i ricavi siano superiori alle spese, nulla di più e nulla di meno. Questo è il Fairplay Finanziario.
Quello che resta davanti agli occhi è una squadra su cui qualche interrogativo tecnico rimane ma che ha fatto un evidente salto di qualità, risultando anche la più giovane dell'intera Serie A.
Niente male.

Sono troppo lusinghiero, dite? o addirittura aziendalista, se volete essere più maliziosi?
Lo si potrebbe pensare, senza dubbio.
Però provateci voi ad avere una fame da lupi, sentirvi dire per mesi che vi serviranno gallette rafferme e fagioli in scatola per poi trovarvi una tavola apparecchiata con un buffet in grado di soddisfare sicuramente i palati ormai abituati a troppo cibo liofilizzato o appena appena mangiabile.
Provateci voi in queste condizioni a mantenere un contegno imperturbabile mentre i vostri vicini di casa che raccontavano di piatti da gran gourmet preparati sul posto dagli chef stellati vi guardano con una faccia tra l'atterrito e il sorpreso godervi un banchetto che ad occhio sembra nettamente migliore del loro.
Potrete così capire come se la stanno passando in questi giorni i tifosi dell'Inter.

Il tavolo é stato sparigliato per davvero.
Ed ora entriamo in campo e sparigliamo anche le classifiche.



venerdì 21 agosto 2015

Serie A, si entra solo in lista: tutto quello che c'è da sapere




Stop all'ingresso libero, in Serie A da domani si entra solo in lista.
Questa rivoluzione introdotta da Tavecchio già all'alba della sua elezione è per molti tifosi una possibile mannaia che gravita sulle squadre che si devono adeguare a partire dalla stagione che inizia domani, ma in verità non è così rigida come la si è voluta far passare.
Completo la premessa esprimendo un doveroso concetto: non v'è nulla di nuovo in quanto introdotto in Italia, altro non si tratta che di una normativa già ampiamente collaudata e su cui l'Italia è arrivata solo dopo la seconda magra figura consecutiva rimediata ad un Campionato del Mondo.
Non sono infatti d'accordo con chi dice che la norma è "ispirata dalla Uefa", sono sicuramente più del partito di chi dice che la norma è un comodo copia/incolla di quanto già fatto in Premier League a partire dalla stagione 2010/11, visto che le regole d'ingaggio sono assolutamente identiche a quelle introdotte oltremanica un lustro fa.
Vediamole insieme, come presentate dalla FIGC e come sono poi esplicabili in termini più semplici ed esemplificativi:

1. "Le società di Serie A, fatto salvo quanto previsto al comma 2, potranno utilizzare nelle gare di campionato i 25 calciatori indicati nell’elenco di cui ai commi 3, 4, 5 e 6. Tra i 25 calciatori, almeno 4 devono essere “calciatori formati nel club” e almeno 4 “calciatori formati in Italia”. Per “calciatori formati nel club” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per il club nel quale militano per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. Per “calciatori formati in Italia” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, e indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato."

Iniziamo subito col dire che parte di questo comma è stato corretto dalla seguente norma transitoria:
"Le società di Serie A che non disponessero del numero minimo di 4 “calciatori formati nel club”, potranno nella stagione sportiva 2015/2016 inserire nella lista dei 25 fino ad 8 “calciatori formati in Italia”.Sta a significare semplicemente che, per non complicare troppo la vita ai club, per quest'anno la norma si ammorbidisce e consente di tesserare in rosa non necessariamente giocatori del proprio vivaio ma all'occorrenza sostituirli con giocatori di qualsiasi vivaio nazionale. Dalla prossima stagione, salvo nuovi provvedimenti transitori, tutto il comma riportato sopra avrà piena validità.
Come evidenziato, questa normativa non presenta vincoli di nazionalità se incontra le condizioni elencate: smontiamo subito pertanto il mito che basti essere italiani per rientrare in tale parametro.
Giocatori come Icardi o Nainggolan, decisamente non italiani, rientrano nelle condizioni di formazione in Italia e pertanto possono essere tranquillamente eleggibili mentre giocatori come Sala e Paletta hanno trascorso all'estero il periodo della loro adolescenza calcistica e dunque non possono rientrare in questi parametri pur essendo italiani o pur giocando nella nazionale italiana.
Occhio inoltre alla questione dell'età: è specificato i giocatori devono esser stati tesserati a titolo definitivo (anche se poi vengono prestati altrove) per 3 intere stagioni sportive dalla stagione coincidente con il compimento dei 15 anni alla stagione coincidente con il compimento dei 21 anni.
Questo può dar luogo a qualche fraintendimento, visto che le stagioni non sono solari come gli anni.
L'esempio più lampante che trovo è quello di Stevan Jovetic, giocatore eleggibile per il parametro del vivaio nazionale: le stagioni utili al parametro sono quelle 08/09, 09/10, 10/11 in cui ha militato nella Fiorentina e che corrispondono al compimento del 19°, 20° e 21°anno di età. Questo è possibile solo perchè Jovetic è nato a Novembre nel 1989; qualora fosse nato per esempio a Marzo dello stesso anno, il parametro sarebbe saltato visto che il compimento del 19° anno di età non sarebbe avvenuto nella stessa stagione, bensì nella stagione 07/08, in cui era ancora a Belgrado.
Infine va considerato che la normativa del vivaio nazionale è cumulativa, giacché é applicabile anche qualora non sia solo uno il club italiano ad aver tesserato il giocatore nel periodo interessato.


2. Sarà consentito alle società di Serie A l’utilizzo aggiuntivo, rispetto a quelli dell’elenco dei 25 calciatori di cui ai successivi commi, di calciatori, tesserati sia a titolo definitivo sia temporaneo, che alla data del 31 dicembre della stagione sportiva precedente non abbiano già compiuto il 21° anno di età (“calciatori under 21”). 

Tutto molto semplice: per questa stagione i nati dal 1° Gennaio 1994 in poi non rientrano in alcun vincolo di lista, pertanto sono schierabili in qualsiasi momento senza dover rendere conto a nessuno e senza che il club che li schieri debba fare calcoli.
Questo rappresenta un escamotage importante per i club che dovessero avere una riduzione della lista data dal fatto di non raggiungere i famigerati otto elementi del vivaio nazionale, poichè ogni posto in lista che viene ridotto dalla mancanza di un giocatore del vivaio può essere nei fatti colmato da un giocatore Under 21.
Sempre prendendo l'Inter come esempio, i giocatori che rientrano in questa categoria possono essere Gnoukouri, Dimarco e Manaj: se il club nerazzurro dovesse presentare ad esempio una lista con 5 giocatori del vivaio nazionale, pari a 22 posti massimi, il loro utilizzo libero ed incondizionato andrebbe a colmare nei fatti i posti mancanti in lista.

3. Le società di Serie A, entro le ore 12:00 del giorno precedente la prima gara di campionato, sono tenute ad inviare via PEC alla Lega l’elenco dei 25 calciatori, da individuarsi tra quelli per esse tesserati o tra quelli per i quali, completata la procedura di richiesta del transfer, lo stesso non sia stato ancora rilasciato, indicando quali siano i quattro “calciatori formati nel club” e quali siano i quattro “calciatori formati in Italia”. I calciatori per i quali non sia stato ancora rilasciato il transfer possono essere inseriti nell’elenco ma non possono essere utilizzati prima della concessione del visto di esecutività.

Per chi si stesse chiedendo qual è l'esatta deadline della lista per la stagione incombente, questo comma la chiarisce: le ore 12.00 della giornata di oggi se il club gioca domani (ad esempio la Roma) o le ore 12.00 di domani se il club gioca domenica.
Se un giocatore è tesserato ma ancora in attesa del transfer può essere inserito in lista, ma non può scendere in campo senza l'arrivo di questo transfer.

4. L’elenco dei 25 calciatori di cui al precedente comma, può essere variato fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura del primo periodo di campagna trasferimenti. L’elenco dei suddetti 25 calciatori, scaduto il predetto termine e, fatto salvo quanto previsto dai successivi commi 5 e 6, può essere nuovamente variato dall’inizio del secondo periodo di campagna trasferimenti fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura di detto periodo. Ogni variazione perché abbia effetto, ai fini della utilizzabilità del calciatore, deve pervenire alla lega a mezzo PEC entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara di campionato.

Questo comma ci suggerisce che la lista per la prima giornata di campionato è totalmente provvisoria, dato che nei fatti la lista diventa variabile anche nella sua totalità entro la mezzanotte tra l'1 e il 2 Settembre (il giorno successivo alla chiusura del mercato).
La stessa cosa avverrà poi a seguito della chiusura mercato invernale, con le stesse regole.

5. L’elenco di cui al comma 3, se incompleto, può essere integrato fino al numero massimo di 25 consentito, esclusivamente con calciatori tesserabili in periodi diversi dai due ordinari periodi di campagna trasferimento, nei limiti, nei termini e secondo le modalità previste dal Comunicato Ufficiale annuale diramato in materia dalla F.I.G.C..

In parole semplici, qualora l'elenco fosse incompleto per qualsiasi ragione il club è libero di integrarlo in qualsiasi momento con giocatori acquisiti fuori dalla campagna trasferimenti: l'eventuale acquisizione di uno svincolato a Settembre rientra perfettamente in questa casistica.

6. Le società di Serie A, in qualsiasi momento della stagione sportiva, possono procedere alle variazioni di seguito indicate dell’elenco dei 25 calciatori: a) sostituzione di un portiere con un altro portiere; b) sostituzione di un calciatore proveniente dall’estero per il quale non si sia completata positivamente la procedura di rilascio del transfer; c) sostituzione di un calciatore al quale sia stato revocato il tesseramento; d) sostituzione di un calciatore con cui sia intervenuta risoluzione consensuale di contratto; e) sostituzione, per una sola volta nella stagione, fino ad un massimo di due calciatori (diversi dal portiere) con altri due calciatori. Nel caso di sostituzione di un calciatore di cui alla presente lettera e), quest’ultimo potrà essere reinserito al posto del suo sostituto nell’elenco dei “calciatori over 21” solo nel periodo di campagna trasferimenti successivo alla data della sostituzione.
7. Le variazioni dell’elenco, intervenute fuori dai periodi di campagna trasferimenti, acquisiscono efficacia, purché siano trasmesse via PEC alla Lega entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara, ad eccezione della sostituzione del portiere che potrà essere comunicata via PEC alla Lega prima dell’inizio della gara, con contestuale consegna di copia della comunicazione al Delegato di gara della Lega.  


Liberamente nel corso della stagione un club può pertanto sostituire un portiere se per esempio si infortunasse gravemente, un calciatore inserito in elenco ma per il quale il transfer non arriva (il mercato è stato fitto di questi casi), un calciatore a cui viene revocato il tesseramento (ad esempio per squalifica disciplinare), un calciatore che risolve consensualmente il suo contratto con il club (ad esempio M'vila con l'Inter lo scorso anno).
Per una sola volta è possibile sostituire due giocatori di movimento con altri due ed eventualmente reintegrare i due sostituiti nella successiva lista da presentare al termine della sessione di mercato: questa casistica può essere utile da sfruttare in caso di lungo infortunio occorso nella prima metà della stagione a un calciatore, che può poi essere reintegrato nella lista da consegnare al termine della sessione di mercato invernale.

8. E’ fatto divieto ai calciatori non inseriti nell’elenco dei 25 calciatori di partecipare a gare di campionato nel periodo di validità dell’elenco stesso. Tale divieto non sussiste per i calciatori di cui al comma 2.
9. Le società rispondono disciplinarmente per la violazione delle disposizioni di cui ai commi che precedono. L’utilizzo in una gara di campionato di un calciatore non inserito nell’elenco dei 25 calciatori o inserito nel suddetto elenco in violazione delle disposizioni precedenti, comporta, per la società responsabile, la sanzione della perdita della gara ai sensi dell’art. 17, comma 5, lett. a) del Codice di Giustizia Sportiva, non avendo tale calciatore titolo alla partecipazione alla gara. Non si incorre nella violazione in caso di utilizzo dei calciatori di cui la comma 2
.

In buona sostanza, il club distratto che dovesse schierare un calciatore che non fa parte della famigerata lista va sicuramente ad incorrere in una sconfitta a tavolino, secondo il comma riportato sopra.
Viene invece specificato ancora una volta che qualsiasi Under 21 può essere schierato liberamente anche se il suo nome non compare in alcuna lista: tale utilizzo non sarà mai considerato come una violazione al regolamento.


In conclusione, è un provvedimento utile? Sicuramente, anche se volendo essere puntigliosi ci si poteva pensare molto prima, considerato che mentre queste restrizioni venivano approvate altrove da noi si chiudevano le frontiere senza valorizzare i vivai, pratica che ha favorito la corsa al giocatore possibilmente comunitario ed ha paradossalmente penalizzato ancor di più i giocatori autoctoni.
Anche queste regole, tuttavia, non vanno a favorire in termini i giocatori eleggibili per la nazionale italiana, vista l'assenza di vincoli di nazionalità in questo senso.
Diventa inoltre tutto meno applicabile nel momento in cui non esiste il concetto di Squadra B, importante punto di appoggio per le inglesi nel momento in cui è partita la normativa: senza questa possibile valvola di sfogo, infatti, abbiamo passato tutta l'estate a sentir parlare di esuberi e possibili fuori lista con il probabile risultato di una corsa al prestito o addirittura alla cessione obbligata last-minute che potrebbe penalizzare sia i giocatori, che potrebbero finire in destinazioni poco inclini a fargli svoltare la carriera, sia i club che potrebbero svendere alcuni calciatori per la fretta e la costrizione di doverlo fare.
Infine la mancanza di una regolamentazione esaustiva in questo senso potrebbe portare i club a presentare liste monche di giocatori da vivaio nazionale che verrebbero poi sostituiti da Under 21 provenienti magari da altri paesi, dal momento che non è affatto un mistero il fatto che i vivai siano infarciti di ragazzini stranieri su cui non pendono diritti di formazione da pagare salati al momento di monetizzare.
Ultimo ma non meno importante: tutte queste restrizioni valgono per il solo campionato e non per la Coppa Italia.
Ad oggi, 21 Agosto 2015, le aspettative possono essere diverse: potremmo rispolverare il caro vecchio mito del giocatore in tribuna per un anno o quasi, se il club non fosse riuscito a venderlo; potremmo assistere a vicendevoli scambi di prestiti tra club amici che sistemano i loro problemi a scapito dei calciatori che hanno in esubero; potremmo dare alibi ad allenatori che non credono in questo o quel calciatore e lo sbattono fuori dalla lista.

Comunque sia, the show must go on: e allora, come diceva Maurizio Mosca, buon campionato a tutti.
L'importante è che vi ricordiate di entrare in lista per non rischiare di essere rimbalzati.

venerdì 14 agosto 2015

Melo, Gnoukouri e gli strani tormenti di Mancini


Dall'originale articolo scritto per PassioneInter.com

Felipe Melo ha rinnovato col Galatasaray: questa notizia rimbalza oggi sulle pagine dei principali giornali nazionali adducendo il malumore e l'arrabbiatura che tale evento avrebbe lasciato in Roberto Mancini, per cui secondo alcuni Felipe Melo sarebbe stato il desiderio principale. Le notizie raccolte dalla redazione di Passioneinter.com negli ambienti vicini alle dinamiche di mercato nerazzurre raccontano però una realtà ben diversa, che vi proponiamo in nome della chiarezza e della verità sull'operato degli uomini mercato d'intesa con l'allenatore.

Si parte da un presupposto molto simile a una conditio sine qua non: Felipe Melo rappresentava un affare conveniente solo a zero euro fin dai mesi precedenti all'inizio della sessione di mercato, quando il nome del brasiliano ha iniziato a rimbalzare sulle cronache interiste in nome del rapporto con Mancini già sviluppato al Galatasaray. La questione è stata posta in maniera chiara fin dall'inizio: a Melo fu chiesta subito la possibilità di svincolarsi dai turchi per accoglierlo a parametro zero in qualsiasi momento dell'estate, purché tale condizione fosse soddisfatta. Non è tutto: dal momento che l'Inter ha oggi in rosa 7 centrocampisti (Taider escluso, giacché é certa la sua uscita) di cui due mediani e ce li ha fin dal giorno dopo l'acquisto di Geoffrey Kondogbia, sarebbe stata necessaria la cessione di uno degli attuali uomini in mediana per consentire a Melo l'ingresso in rosa.

Melo è diventato l'oggetto del desiderio a livello mediatico in relazione al fatto che ad inizio mercato si cercava un centrocampista di provata esperienza e che le strategie erano ben diverse da quelle poi maturate in corso d'opera: ad esempio l'idea iniziale era di sacrificare Kovacic, una possibilità poi riveduta nel momento in cui Mancini ha ritenuto possibile la convivenza con Kondogbia. Durante l'estate è però emersa una variabile importante e imprevista dai più: Gnoukouri ha svolto una pre-season magistrale dimostrando di potersi giocare le proprie chances in rosa, dopo aver ricevuto la promozione in prima squadra dalla primavera. Se all'inizio sembrava certo dare al giovane ivoriano un prestito altrove per potersi esprimere con continuità, tale certezza è decaduta di giorno in giorno grazie alla bella figura che il centrocampista ha fatto in un precampionato avaro di soddisfazioni e proprio pochi giorni fa Mancini ha preso la sua decisione: Gnoukouri verrà mantenuto nella rosa dell'Inter almeno per la prima parte di stagione.


Stante quanto sopra, l'altro indiziato ad uscire per far posto al brasiliano poteva essere Gary Medel. L'Inter ha valutato qualche offerta dall'Inghilterra e dalla Turchia per il pitbull cileno, ma Mancini non se ne è voluto privare a cuor leggero dichiarando anche che non sarebbe stato in vendita. Nel frattempo Felipe Melo non è mai stato vicino alla rescissione consensuale con il suo club, che ha sempre chiesto all'Inter un investimento da almeno 3 milioni su cui la Società nerazzurra non ci ha mai voluto sentire.


Ai nostri lettori poniamo dunque qualche domanda: come può essere Mancini stizzito ed indispettito per il mancato acquisto di Melo nel momento in cui ha voluto fortemente confermare Gnoukouri, che svolge lo stesso ruolo? E ancora: come si può definire obiettivo principale di mercato un giocatore su cui non si sono voluti impiegare 3 milioni di Euro, in una sessione in cui l'Inter per un giocatore desiderato davvero ne ha spesi 30?


In un mercato fatto in totale intesa con l'allenatore (a differenza di altri anni), non ce lo vediamo proprio il suddetto allenatore avallare una decisione per poi telefonare a sé stesso ed esprimere il suo malumore. Fino al prossimo "caso Inter" ovviamente....

mercoledì 12 agosto 2015

La Champions e il ranking: tutte le possibili fasce del sorteggio



Non sarà una Champions League come tutte le altre.
Non è la solita frase retorica ma una solida realtà basata sulle tante novità che questa edizione porta con sè e che ci accompagneranno per un triennio, la stessa tempistica dell'ormai famoso contratto televisivo che permetterà a Mediaset di trasmettere la competizione stellata.
Piuttosto di addentrarci in teoremi e regolamenti, mi preme far sapere come i vari club si possono presentare ai nastri di partenza, visto che le regole sono cambiate: almeno fino al 2018, infatti, le teste di serie non sono comandate dal ranking ma corrispondono ai club campioni nazionali dei primi 8 paesi del ranking Uefa (7 nel caso in cui la detentrice trofeo non corrisponda alla prima classificata di uno di questi paesi).
In parole povere ma concrete:
con il vecchio metodo le teste di serie sarebbero state Barcellona, Real Madrid, Chelsea, Bayern, Atletico Madrid, Benfica, Porto ed Arsenal.
Con il nuovo metodo le teste di serie sono invece Barcellona, Chelsea, Bayern, Juventus, Benfica, PSG, Psv e Zenit.
Le altre fasce riprendono invece il solito funzionamento del ranking ed è qui che si aprono scenari di difficile prevedibilità perché partendo con questo metodo dalla seconda fascia il rischio di trovarsi uno o più gironi quasi completamente costituito da big match è molto concreto.
Prima di andare ad elencare le possibilità squadra per squadra è utile sapere che ci sono 5 posti assegnati e 3 vacanti in seconda fascia, 2 assegnati e 6 vacanti in terza fascia, 1 assegnato e 7 vacanti in quarta fascia.
Il completamento dipende soprattutto dall'esito dei 10 playoff che incideranno anche sulle squadre già qualificate e in attesa di definizione della loro fascia di appartenenza.
Vediamo caso per caso, partendo dalle italiane, quali sono le certezze e le possibilità in vista del sorteggio di fine mese (tra parentesi l'attuale punteggio ranking)

JUVENTUS (95.102) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale.
ROMA (43.602) - In terza fascia se almeno una tra Man United, Shakhtar, Valencia e Basilea sarà eliminata al playoff.  In quarta fascia in tutti gli altri casi.
LAZIO (49.102) - Sicuramente in terza fascia in caso di accesso alla fase a gironi

Ecco la situazione degli altri club europei per quanto riguarda le già qualificate:

REAL MADRID (171.999) - Sicuramente in seconda fascia
BARCELLONA (164.999) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale/detentrice trofeo
BAYERN MONACO (154.883) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
CHELSEA (142.078) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
ATLETICO MADRID (120.999) - Sicuramente in seconda fascia
BENFICA (118.276) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
PORTO (111.276) - Sicuramente in seconda fascia
ARSENAL (110.078) - Sicuramente in seconda fascia
PSG (100.483) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
ZENIT (90.099) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
MANCHESTER CITY (87.078) - Sicuramente in seconda fascia
SIVIGLIA (80.499) - In seconda fascia se almeno tre squadre tra Manchester United, Valencia, Leverkusen, Basilea e Shakhtar saranno eliminate al playoff. In terza fascia in tutti gli altri casi
LIONE (72.983) - In seconda fascia se almeno quattro squadre tra Manchester United, Valencia, Leverkusen, Basilea e Shakhtar saranno eliminate al playoff. In terza fascia in tutti gli altri casi
DINAMO KIEV (65.033) - In seconda fascia se  Manchester United, Valencia, Leverkusen, Basilea e Shakhtar saranno tutte eliminate al playoff. In terza fascia in tutti gli altri casi
OLYMPIACOS (62.380) - Sicuramente in terza fascia
PSV EINDHOVEN (58.195) - Sicuramente testa di serie quale campione nazionale
GALATASARAY (50.020) - Sicuramente in terza fascia
BORUSSIA MOENCHENGLADBACH (33.883) - In terza fascia se almeno cinque club tra Valencia, Shakhtar, Basilea, Celtic, Apoel e Bate Borisov saranno eliminati al playoff. In quarta fascia in tutti gli altri casi.
WOLFSBURG (31.883) - In terza fascia se Valencia, Shakhtar, Basilea, Celtic, Apoel e Bate Borisov saranno tutte eliminate al playoff. In quarta fascia in tutti gli altri casi.

GENT (13.440) - Sicuramente in quarta fascia


Ecco invece la situazione di chi è impegnato nei playoff, con la situazione club presentata per coppia di partite già sorteggiate (ad eccezione della Lazio già vista sopra) ed ovviamente soggetta alla condizione di passaggio turno:

BAYER LEVERKUSEN (87.883) - Sicuramente in seconda fascia

MANCHESTER UNITED (103.078) - Sicuramente in seconda fascia
BRUGES (41.440) - In terza fascia se almeno una tra Shakhtar, Valencia e Basilea sarà eliminata al playoff.  In quarta fascia in tutti gli altri casi.

VALENCIA (99.999) - Sicuramente in seconda fascia
MONACO (31.483) - Sicuramente in quarta fascia

SPORTING (56.276) - Sicuramente in terza fascia
CSKA MOSCA (55.599) - Sicuramente in terza fascia

SHAKHTAR (86.033) - In seconda fascia se almeno una tra Man Utd, Valencia e Leverkusen sarà eliminata al playoff. In  terza fascia in tutti gli altri casi.
RAPID VIENNA (15.635) - Sicuramente in quarta fascia.

BASILEA (84.875) - In seconda fascia se almeno due tra Man Utd, Valencia, Shakhtar e Leverkusen saranno eliminate al playoff. In  terza fascia in tutti gli altri casi.
MACCABI TEL AVIV (18.200) - Sicuramente in quarta fascia

CELTIC (39.080) - In terza fascia se almeno due tra Valencia, Shakhtar e Basilea saranno eliminate al playoff. In quarta fascia in tutti gli altri casi.
MALMO (12.545) - Sicuramente in quarta fascia

APOEL (35.460) - In terza fascia se almeno tre tra Celtic, Valencia, Shakhtar e Basilea saranno eliminate al playoff. In quarta fascia in tutti gli altri casi.
ASTANA (3.825) - Sicuramente in quarta fascia.

BATE BORISOV (35.150) - In terza fascia se almeno quattro tra Celtic, Apoel, Valencia, Shakhtar e Basilea saranno eliminate al playoff. In quarta fascia in tutti gli altri casi.
PARTIZAN (14.775) - Sicuramente in quarta fascia

DINAMO ZAGABRIA (24.700) - Sicuramente in quarta fascia
SKENDERBEU KORCE (5.575) - Sicuramente in quarta fascia


Con una seconda fascia possibilmente costellata da Top Club e una terza fascia gremita di mine vaganti (il Siviglia su tutte, qualora non riuscisse l'approdo in seconda fascia) sarà davvero una Champions League diversa da tutte le altre.
Ricordando che non possono incontrarsi squadre della stessa nazione e nemmeno squadre provenienti da Russia e Ucraina, la Juventus ad esempio potrebbe avere un girone molto complicato con Manchester Utd, Siviglia e Wolfsburg come potrebbe averne uno molto più abbordabile con Porto, Olympiacos e Gent.
Non resta che aspettare gli esiti dei playoff di settimana prossima: tenete questo post sott'occhio e fate le possibili combinazioni.
Alla fine però ricordatelo: per arrivare da qualche parte, l'unico modo possibile è battere chiunque.


giovedì 23 luglio 2015

Inter e Salah: com'è andata realmente?


Salah alla Roma. Finalmente, mi viene da dire.
Una telenovela andata in onda in tutte le salse e in tutte le sfumature possibili senza che si sia mai fatta completa chiarezza su come si sia strutturata questa storia che ha fatto la fortuna delle pubblicazioni che ci hanno tratto una storia infinita a puntate.
Com'è andata davvero? La storia completa la sanno solo i protagonisti ma si può tentare di fare chiarezza quantomeno sul lato Inter.

Partendo da un presupposto: Salah sapeva fin dall'inizio di essere solo in transito alla Fiorentina. Altrimenti non avrebbe avuto senso di esistere quella scrittura privata attraverso cui l'entourage del giocatore o il giocatore stesso mettevano decisamente le mani avanti enunciando il diritto dell'egiziano di esprimere in forma scritta il benestare al proseguimento del prestito dal Chelsea.
E sarà bene fare un passo indietro su questo passaggio, per non dimenticarci che durante il mercato invernale Salah é stato avvicinato a parecchie squadre, tra cui in particolare Inter e Roma.
Poi, sappiamo com'è andata: la Roma ha preso Ibarbo probabilmente per accordi insiti nell'affare Nainggolan, l'Inter ha virato su Podolski che si poteva fare in prestito secco e ha preferito investire su Shaqiri grazie ai buoni uffici del Bayern, che con l'Inter non ha mai grossi problemi a fare affari a condizioni soddisfacenti per entrambi.
Per cui, a giudizio ed opinione dello scrivente, l'approdo di Salah alla Fiorentina è stato più interpretato come una soluzione di ripiego dallo stesso Salah che vi è stato incluso nell'ambito di un'altra trattativa, quella che ha portato Cuadrado al Chelsea: a quel punto la prospettiva, in caso di rifiuto, sarebbe stata la panchina se non la tribuna londinese per il proseguio della stagione.

Quanto succede in maglia viola lo sappiamo tutti: impatto sorprendentemente devastante, gol a ripetizione, sempre più occhi addosso da parte di tifosi ed addetti ai lavori e un'evoluzione che lo porta in breve ad una vetrina di pieno rilievo all'interno della Serie A.
A questo punto della storia entra in scena l'Inter, ma non esattamente nel modo che sarà dipinto più avanti nel tempo. Perché a un certo punto della sua esperienza viola, l'entourage capisce che è arrivato il momento del riscatto per l'assistito e lo va a proporre a diversi club italiani tra cui Inter, Roma, Juventus nel tentativo di creare un'asta basata sulle notevoli prestazioni che l'attaccante ha reso nella città toscana.
Al sottoscritto non è risaputo come ha reagito la Juventus, ma è piuttosto chiaro che a quel punto sia Inter che Roma non disdegnano affatto un giocatore che avevano già sondato pochi mesi prima per poi virare su altri obiettivi, che da ambo le parti iniziavano a rendere al di sotto delle aspettative.
Con la scrittura privata già citata, poi, chi curava gli interessi di Salah non si è nemmeno posto il problema di andare avanti con la Fiorentina e lo stesso giocatore, come diranno alcuni suoi compagni poi, a Firenze ci si sentiva di passaggio.
Trovare un accordo con Inter e Roma non è affatto un'impresa titanica, visto che l'intesa di massima si era già trovata pochi mesi prima senza poi concretizzare e che il rendimento del giocatore ha sicuramente alzato il tiro sull'ingaggio, ma non in maniera insostenibile.
I club che hanno portato avanti un discorso pro futuro su Salah sono tranquilli, avendo contattato un giocatore annunciato in scadenza prestito nel mese di Giugno.

Sul fronte Inter, unico che tratterò da adesso in poi non essendo abbastanza informato su altri club a tal punto da poter raccontare una storia ritenendola vera, arriva l'importantissimo mese di Maggio in cui viene decisa tutta la strategia di mercato dei mesi successivi.
In particolare viene deliberato da una riunione dirigenziale con Mancini che molte cose dovranno cambiare: in primis lo schema che dovrà essere tramutato in un 4-3-3 trasformabile in 4-3-1-2 all'occorrenza, in secondo luogo bisognerà formare una spina dorsale di nuovi giocatori che saranno negli intenti le colonne portanti della nuova Inter.
Tra questi ultimi però Salah non c'è: oltre a Miranda, contattato in tempi non sospetti e Yaya Touré, prima scelta per il centrocampo poi rimpiazzato da Kondogbia, l'elemento che Mancini vuole è un esterno abbastanza duttile e tatticamente intelligente da poter provvedere all'equilibrio che la squadra non ha: è qui che si inizia a spendere il nome di Ivan Perisic, profilo che Mancini ritiene fondamentale per la propensione alla doppia fase.
L'altro esterno in quel momento avrebbe certamente dovuto passare da una scelta minuziosa, ma il suo ruolo sarebbe stato solo complementare alla disposizione tattica e non risponde ad un solo identikit ma viene giocato su tanti tavoli alla ricerca dell'occasione di mercato giusta: si parte da Pedro con cui viene trovata un'intesa ma ci si scontra con richieste totalmente fuori budget da parte del Barcellona, si prosegue con Dybala su cui si è decisamente esagerato in termini di disponibilità Inter alla maxi offerta, si seguono altri profili. Tra cui Salah, sempre attenzionato purchè la sua acquisizione non vada oltre determinati parametri di mercato, visto e considerato che a inizio mercato l'Inter ha un solo grosso
investimento da fare(nelle attese Touré), massimo due se cede Kovacic a più di 30 milioni(dopo l'acquisto di Kondogbia Kovacic verrà poi tolto dal mercato su scelta dell'allenatore).
In tutta la pianificazione del mercato, Salah non ricopre mai un ruolo prioritario ma viene considerato solo se diventa possibile concludere a determinate condizioni, nell'ordine di 17-18 milioni di Euro al massimo e possibilmente con un pagamento dilazionato.

Quando arriva Giugno e l'Inter affonda pesantemente sul mercato, si inizia a capire che qualcosa con Salah non sta andando per il verso giusto dalle parti di Firenze: c'è in atto un braccio di ferro che non lascia presagire una conclusione felice.
Quando si alza tutto il polverone nell'ultima settimana di Giugno, l'Inter ha già mollato da un po' i contatti con il giocatore avendo già la sua parola ed è in tutt'altre faccende affaccendata (chiusura degli affari Miranda e Montoya, ad esempio): è in questo momento che i giornali non si lasciano sfuggire l'opportunità di romanzare la vicenda e iniziano a premere forte su un accordo "segreto" con l'Inter che diventa poi un argomento da prima pagina, in un vortice di mercato che coinvolge presto anche la Roma in modo più marginale, sebbene sia in quel periodo la Società più concreta sul giocatore.
Quando Salah litiga con la Fiorentina a seguito dell'ultimatum non rispettato, l'Inter è già su Jovetic: seguendo il montenegrino da un anno e mezzo, Ausilio incontra l'agente Ramadani tra fine Giugno e inizio Luglio e trova un accordo per il trasferimento del calciatore che è ben contento di tornare in Italia.
Intanto la situazione in casa Fiorentina precipita ed è abbastanza evidente a quel punto che la società gigliata si accorga di aver gestito con troppa superficialità la vicenda di un giocatore che forse non era atteso ai livelli con cui si è espresso. Cercano prima la linea dura con il giocatore e con gli agenti, poi una volta trovato da quel lato un muro di gomma tirano in ballo l'Inter attraverso la diffida e i tweet di Panerai, nella boutade che si conclude con il duro comunicato ufficiale della Società nerazzurra, che si sente tranquilla perchè è stata contattata dall'entourage del giocatore tempo prima e non ha nessuna intenzione di finire dentro una battaglia che non la riguarda e perchè al massimo questa battaglia avrebbe senso solo se fosse tra Fiorentina ed entourage di Salah.
Sul perchè la Fiorentina non abbia fatto la stessa mossa con la Roma, non so rispondere con certezza ma a logica posso pensare che i vari affari di Della Valle nella Città Eterna, non ultimo la ristrutturazione del Colosseo, abbiano forse frenato l'impeto di riservare ai giallorossi lo stesso trattamento.
La mia è una semplice ipotesi, ma a naso non credo che Salah avrebbe potuto valere un'impopolarità ampia nei confronti del numero uno gigliato in una piazza umorale come Roma, visti gli interessi in ballo.

Mentre succede tutto questo, ancor prima della guerra dei comunicati e mentre tutta la stampa avvicina progressivamente Salah a Milano, l'Inter aveva già dato una decisa accelerata su Jovetic intuendo la possibilità di prenderlo a prezzo di saldo, almeno 7-8 milioni in meno rispetto alla richiesta dell'anno prima poi non concretizzatasi.
Salah resta attenzionato, come specifica Fassone in un'intervista a Sky, ma il troppo clamore che gli è stato creato intorno non ha certo fatto bene a un affare che si sarebbe dovuto condurre a fari spenti per strapparlo alle migliori condizioni possibili. Anche perchè il prezzo è ritenuto troppo alto dalla dirigenza Inter che non è disposta ad andare oltre i 17-18 milioni dovendo fare i conti con un mercato costantemente inserito all'interno di determinati paletti.

In quel periodo, mentre tutti guardano a Salah, sono in pochi a dire che l'Inter fa sul serio per Jovetic, anche se nemmeno lui si poteva definire una priorità di mercato: vuoi perchè costa sicuramente meno arrivando da tutt'altro tipo di stagione, vuoi perchè a conti fatti la sua duttilità fa comodo, vuoi perchè le condizioni del montenegrino sono una scommessa ma vincerla significherebbe avere fatto un affare gigantesco, vuoi perchè non ci sono storie intricate e fastidiose di mezzo.

Ecco perché, se avete seguito i tweet del sottoscritto, la destinazione Roma per Salah vi è stata segnalata già da tre-quattro settimane: era chiaro fin da subito che erano i giallorossi quelli che facevano sul serio per l'egiziano e che l'Inter sarebbe tornata in gioco solo qualora avesse ritenuto Salah un'occasione di mercato, a condizioni economiche ben diverse e senza una possibile asta in cui entrare.
Sul presunto veto Chelsea-Fiorentina non c'è stato nessun riscontro, anche perchè Inter e Chelsea non hanno mai trattato concretamente Salah né lo avrebbero fatto dal momento che quando l'egiziano torna a Stamford Bridge, i nerazzurri stanno già contattando Manchester per Jovetic.

Ce n'è abbastanza per dire che Salah non è mai stato realmente prioritario ma solo complementare? Per il sottoscritto sì e su questa versione ci insisto da diverse settimane nonostante lo scetticismo della gran parte del mondo in merito.

La storia per come si è sviluppata é questa, arrivati a questo punto sta a voi crederci o meno.
Se però riconsiderate tutto ciò che si è detto o scritto e rileggete la storia sotto la lente di quanto vi ho scritto qua sopra, sono certo che la riterrete quantomeno plausibile.