Complimenti, Chef Pioli: l'antipasto ci è davvero piaciuto.
Noi che abbiamo desinato per tutto l'anno alla mensa comunale, dove inservienti in camice riciclato da chissà quanti anni ci hanno allungato con insolenza una scatoletta di Simmenthal e un piatto di fagioli in barattolo, ci siamo trovati all'improvviso per 45 minuti in un ristorante stellato a gustare piatti gourmet.
L'attesa è stata lunga, se posso essere sincero: per i primi 45 minuti si sentivano buoni profumi arrivare dalla cucina, ma niente di sostanzioso ci è stato servito. E più l'attesa si protraeva più stavamo là a capire se la solita deludente Simmenthal sarebbe arrivata subito o a fine pasto, tanto per farci arrabbiare ancora di più come già accaduto.
Invece gli antipasti sono arrivati ed erano tutti veramente gustosi.
Abbiamo iniziato con un Trionfo di Banega in salsa serba, un piatto consumato velocemente ma che lascia in bocca il buon sapore di qualcosa riuscito veramente bene. La salsa serba, di guarnizione, è un omaggio al buon Dejan Stankovic senza la cui aura non è possibile far uscire il piatto alla stessa maniera.
Il secondo appetizer arriva subito dopo: filetto alla Icardi in riduzione di Hernan Crespo, servito con un calice di "D'Ambrosio DOP etichetta oro" senza cui il piatto stesso non sarebbe potuto esistere.
Questa è stata di gran lunga la portata più godereccia perchè ha mischiato alla perfezione più sapori che in piatti passati, se messi assieme, si sono rivelati ai confini del disastroso.
A quel punto del pasto, la sensazione di appagamento era già presente e lo chef ne ha allora approfittato per offrirci il meglio della degustazione che avrebbe potuto portarci al tavolo: ad esempio ha reso quello che è stato finora il "bollito Miranda-Murillo" un arrosto dal sapore solido, robusto e sicuro. Un'aroma che già conoscevamo, ma che non sentivamo da tanto tempo.
Ha utilizzato una spezia segreta, chiamata Brozovic, che ha fatto la differenza in tutte le portate che ci sono state servite; dovunque mettevi un pizzico di Brozovic, il piatto decollava.
Sapori delicati, decisi o neutri: stava benissimo ovunque.
Il tutto è stato innaffiato con una bottiglia di "Kondogbia Gran Riserva", qualità e quantità, che non so da dove sia stata tirata fuori visto che fino ad oggi ordinando questa etichetta ci arrivava un irritante vino da due lire che il più delle volte sapeva di tappo o di aceto.
C'è stato anche il tempo per una millefoglie di Gabigol, più scenografia che sostanza, ma una base per costruirci sopra un piatto completo a tratti si è sentita.
Altri ingredienti non protagonisti dei piatti, come la colatura di Candreva e l'essenza di Handanovic, si sono rivelati comunque molto importanti per questa positiva esperienza che arriva in un momento in cui la materia prima sembrava proprio non trovare il modo di esser lavorata in maniera convincente.
Ora che facciamo, ci fermiamo?
Affatto. L'appetito vien mangiando e noi vogliamo assolutamente assaggiare le portate principali che lo Chef ci vorrà servire.
Nelle prossime due settimane in cui faremo pasti frugali in famiglia, lo staff del ristorante potrà lavorare sulla sinergia, la velocità, la costanza e l'attitudine; caratteristiche che se proposte una volta ogni tanto perdono il loro senso, qualità che se tirate fuori non solo per fare bella figura col boss in visita dall'Estremo Oriente risulteranno fondamentali nell'economia e nei risultati di questo locale in cui tutti noi riconosciamo indiscusse potenzialità.
Gli ultimi tre pasti che ci hanno fornito (menu genovese, menu emiliano e la degustazione di ieri sera) non sono stati tutti indimenticabili, ma sono stati sostanziosi. Significa qualcosa, significa avere un'idea di come fare le cose per bene con continuità.
Significa che anche se i problemi enunciati spesso restano, c'è la volontà di affrontarli e a tratti la capacità di farli sparire per quei 45 minuti.
Ci è piaciuto, ma era un antipasto.
Per riportare il locale ad antichi splendori ora è necessario riuscire a servire il menu completo, anche al cospetto di critici culinari ben più severi e anche se Mister Zhang non sarà in sala perchè affaccendato a Nanchino.
Palla (pardon: piatto) di nuovo a Chef Pioli, che si dice soddisfatto dello staff anche se sappiamo bene che ci sono dei Commis da tagliare e almeno un Sous-Chef da assumere a gennaio per completare la squadra che dovrà provvedere alla nostra fame nei prossimi mesi.
Resto seduto a questo tavolo almeno fino a giugno e se necessario anche di più in attesa di nuovi sapori da scoprire e vecchie certezze da ritrovare.
Se dopo le feste, che vi auguro di passare in gioia e serenità, vi vorrete sedere con me, scopriremo assieme se alla fine di questa esperienza culinaria rimarrà sulle papille gustative il dolce sapore di un buon dessert a coronare un pasto finalmente all'altezza della nostra fame.
L'Inter ha vinto: buona notizia.
L'Inter ha vinto in trasferta: notizia ancora migliore.
L'Inter ha vinto in trasferta grazie a Candreva: ottima notizia.
E poi, che altro? Poco, molto poco.
Non mi si fraintenda: il risultato mi sta benissimo come mi sta benissimo il fatto che, parentesi horror di Napoli a parte, dall'insediamento di Pioli l'Inter perde sicuramente con meno continuità di prima.
Il risultato è però l'oggi, l'effimero esito di una domenica che già tra poco più di 48 ore uscirà dalla memoria perché ci sarà un altro risultato su cui ragionare.
E allora, fatte le dovute rimostranze per la mia forzata assenza nel commento delle ultime prestazioni, vorrei prendermi cinque minuti con voi tutti per parlare anche un po' del domani.
Partirei dagli avversari: il Sassuolo al momento è lontanissimo parente della squadra che poco meno di un anno fa espugnò San Siro con un bel po' di fortuna, ma senza demeritare e che alla fine del campionato centrò egual obiettivo dei nerazzurri.
Vuoi per l'infermeria sold out, vuoi per la troppa inesperienza dei rincalzi in campo ieri, il Sassuolo si è dimostrato per tutta la partita un avversario assolutamente abbordabile per il tasso tecnico dell'Inter.
Nonostante questo, i nerazzurri continuano a produrre lo stesso canovaccio: non convertono abbastanza palle gol, tengono aperto un match che avrebbero potuto chiudere prima dell'ora di gioco, disperdono energie, soffrono e perdono pezzi (Joao Mario e Felipe Melo) in maniera evitabile se sapessero gestire correttamente una partita francamente gestibile.
Vecchi peccati che impediscono a Pioli di potenziare ulteriormente una squadra che mette a repentaglio la sua stessa crescita quando si accorge che sta crescendo.
La condizione fisica continua ad essere un problema che i buoni risultati stanno nascondendo: la realtà è che tra strattoni e folate, l'Inter persiste nell'esprimere a un discreto livello il potenziale per soli 60, massimo 65 minuti.
Negli altri 30 si potrebbero fare tante cose: congelare il pallone, addormentare il ritmo, far correre a vuoto l'avversario, pressare a turno sui portatori per centellinare le già esigue energie. Invece continuo a vedere fasi di partita in cui l'Inter non tiene un possesso, si schiaccia, si scompatta e non restituisce un'idea di solidità abbastanza convincente.
Come detto più volte, il problema della condizione fisica è destinato a rimanere tale fino al richiamo di preparazione di fine anno, ma vanno messe le cose ben in chiaro con i giocatori: così non va bene, nonostante la media di due punti a partita ottenuta con Pioli e la musica da questo punto di vista deve cambiare radicalmente entro la fine del mese di marzo.
Mercoledì è già tempo di Lazio che, anche se non ha la attuale velocità supersonica del Napoli, va sicuramente più forte in campo dei nerazzurri ed è in grado di far arretrare di uno se non due passi i piccoli progressi fatti fino a qua.
Considerando che la stagione è inevitabilmente compromessa, va costruita la mentalità dell'Inter che verrà e deve essere molto diversa da questa: in una squadra ambiziosa non si vivacchia sugli 1-0 sofferti a Sassuolo con una prestazione poco più che sufficiente, pensando sia il massimo da ottenere oggi come oggi.
Forse è vero che non si può ragionevolmente chiedere di più in una stagione così travagliata, ma guai a far passare l'idea che vivere alla giornata sia la chiave di volta per raddrizzare la stagione e per raggiungere gli obiettivi: è già accaduto lo scorso anno, quando il primato nascose tanti episodi girati bene e nessuno volle ammettere che il futuro prima o poi avrebbe presentato un conto molto salato.
Persistere nell'accettare obiettivi al ribasso rispetto a quelli di inizio stagione significa solo una cosa: assuefazione al ridimensionamento, primo spauracchio da combattere in una piazza che vuole tornare grande.
Guardando i meri numeri delle ultimissime sfide, sembrerebbe che la difesa si sia sistemata rispetto a qualche settimana fa: io dico invece che questo è un grande inganno.
La difesa e la fase difensiva sono grosso modo uguali a prima, con la sola differenza che i vari Simeone, Ocampos, Sensi, Ricci, Ragusa hanno perdonato troppi svarioni che domani un Mertens, un Higuain, un Salah non perdonerebbero mai.
I rischi presi nei primi trenta minuti contro il Genoa (tre palle gol nitidissime) e nei primi venti di Sassuolo sono inaccettabili nel momento in cui si realizza che gli errori da cui vengono generati sono sempre gli stessi (qualcuno ha detto Murillo?).
Per quanto mi riguarda è evidente che gli sforzi da effettuare nel mercato di giugno, mercato che inizia molto tempo prima (leggi più o meno ora), debbano avere un occhio di riguardo per un centrale di livello continentale.
Eviterei per stavolta il giovane di talento alla prima esperienza in una grande, come eviterei l'ex campione al tramonto della carriera che sverna in Italia per la pensione dorata: dal momento che la grana non sembra il primo dei problemi dell'attuale proprietà, indirizzerei correttamente le risorse economiche anche verso questa direzione, senza mettere a Gennaio toppe che alla fine rischiano di rivelarsi peggiori del buco.
In conclusione:
siamo più tranquilli rispetto a un paio di mesi fa? Indubbiamente, il potenziamento operato da Pioli è lento ma visibile e c'è un Candreva meritevole di essere riconosciuto come sontuoso solista di questa orchestra ancora un po' sgangherata.
Siamo però soddisfatti? Personalmente no, non sono soddisfatto di una squadra che all'avvicinarsi del giro di boa fa ancora fatica a capire chi é e fa ancora fatica a gestirsi in maniera convincente.
So che a Sassuolo le cose sono andate bene, ma so anche che non tutte le partite si possono approcciare e portare a casa in questa maniera.
Lavorare sulla mentalità significa soprattutto abbandonare la convinzione che questo tipo di vittorie in questo tipo di partite siano la base per grandi obiettivi, perché sono in realtà salvagenti che permettono di rimanere in linea di galleggiamento e non possono mai essere considerate fondamenta di un futuro radioso.
Perché dobbiamo ricordarci da che anni veniamo e quanti progressi abbiamo realmente fatto nel vivere sull'oggi, piuttosto di orientare il pensiero un po' più in là e dare vita a quella che si chiama programmazione.
La fotografia davanti ai miei occhi mi dice che non è ancora domani.
E purtroppo non lo è da molto, troppo tempo.