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mercoledì 1 febbraio 2017

Le lezioni da imparare



Non ho trovato il tempo per commentare la sporca affermazione a Palermo e l'agevole, nonostante le sterili polemiche, vittoria sul Pescara.
A conti fatti è stato meglio, perché i veri contenuti su cui sciorinare qualcosa di utile per il futuro sono venuti fuori soprattutto nella partita di Coppa Italia con la Lazio, persa in casa dando l'addio all'ultimo possibile trofeo stagionale.
Premessa: la Coppa Italia era sicuramente un interessante approdo e l'ottima occasione per mettere di nuovo le mani su un trofeo, sei anni a veder alzare coppe agli altri sono comunque troppi per l'Inter.
Non deve però trasformarsi ora nell'ossessione che sto leggendo in molti casi in giro per il web, come se la stagione fosse finita sul calcio d'angolo che ha sancito la resa nerazzurra nel trofeo da cui partì l'ultimo ciclo vincente.
La partita era importante, ma non posso considerarla un crocevia stagionale; lo farei se l'Inter galleggiasse tra sesto e settimo posto alla ricerca di un posticino in Europa League anche dalla porta di servizio, ma la situazione che Pioli ha apparecchiato in campionato dice cose ben diverse, almeno per il momento.
L'obiettivo stagionale non erano Coppa Italia né Europa League, stiamo parlando di plus da aggiungere al vero bersaglio nerazzurro che è lo stesso di sempre: il ritorno in Champions League. Lo è sempre stato ed i numeri di inizio febbraio dicono che esiste la possibilità di prenderlo, anche senza il risultato pieno a Torino giacché le due principali contendenti dovranno passare più avanti dall'esame Juventus.
Data l'attuale situazione, a parere dello scrivente, non è possibile dare giudizi en tranchant sulla stagione prima di metà marzo soprattutto perché era fisiologico che, dopo un mese e mezzo di scelte azzeccate e letture brillanti, Pioli avrebbe prima o poi commesso qualche errore.

E visto come il tecnico ha sistemato in modo convincente i cocci di un'Inter che a metà novembre non c'era più, è più che lecito attendersi con fiducia che gli sbagli di ieri siano lezioni da imparare per trovare i rimedi.

Prima lezione imparata: questa squadra con questo sistema di gioco non può assolutamente fare a meno di Roberto Gagliardini.
Senza di lui manca l'equilibratore che fa da elastico tra difesa e centrocampo, quel giocatore che vede lo svolgimento del gioco con qualche secondo di anticipo e sa quali linee di campo percorrere per non sfilacciare e sbilanciare mai la squadra.
Kondogbia, pur da me apprezzato nella partita di ieri, non ha il passo per riuscirci mentre Brozovic in relazione alla disciplina tattica è un cane sciolto. Quello dell'equilibratore è un ruolo da cui non si può prescindere nell'Inter di Pioli e Gagliardini è davvero l'unico della rosa ad avere queste caratteristiche. Le aveva anche Melo, pur molto meno potenziate, che infatti non aveva destato cattiva impressione nelle sue ultime uscite in nerazzurro.



Alla mezz'ora e già sotto di un gol, l'Inter subisce un contropiede inconcepibile: manca un uomo che capisca la linea di passaggio laziale prima che avvenga. Non è Miranda che indietreggia, non è Kondogbia che si accorge in ritardo del buco e non è Ansaldi che in partenza è già bruciato dall'avversario.
Quell'uomo poteva essere Gagliardini?

Vedo perciò un Gagliardini impossibile da tirar fuori con Brozovic e Kondogbia a giocarsi il ruolo dello sparring partner, a seconda delle caratteristiche che la partita richiede. Che il francese sia un giocatore ritrovato nel momento in cui ha avuto compiti precisi in un assetto tattico definito è un fatto inopinabile ed ormai nascosto solo ai suoi detrattori che non vogliono più tirar indietro la mano, che Brozovic abbia i colpi per svoltare un match lo è altrettanto. Un tecnico a cui l'acume e la minuziosità nella tattica non sono mai mancati in questa esperienza dovrebbe essersi accorto di come cambia in negativo l'Inter senza una figura di equilibrio, esponendosi a praterie in cui l'avversario banchetta, soprattutto se può contare sulla velocità di Felipe Anderson.

Secondariamente, l'Inter ha un problema che si chiama Ansaldi: se è vero che l'ex Genoa può potenzialmente creare un valore aggiunto alla fase offensiva, è altrettanto evidente che in difesa non sa da che parte iniziare.
Uno dei difetti atavici di Ansaldi è la chiusura delle diagonali, fondamentale imprescindibile a questo livello. Solo negli ultimi venti giorni ho visto lo stesso errore ripetuto tre volte: su De Paul a Udine (palo), col Bologna in Coppa Italia(gol di Donsah) e sul gol di ieri di Felipe Anderson. E l'errore da matita rossa è quello di guardare solo la palla disinteressandosi del diretto avversario che anche ieri, con un movimento ben riuscito ma basilare, ha colpito in beata solitudine. Senza considerare le autostrade lasciate al brasiliano per tutto il primo tempo, con Perisic costretto ad accorciare anche per 60-70 metri per rimediare ai buchi.


Errore marchiano di Ansaldi: sarebbe in netto vantaggio su Anderson, ma non lo sa perché non si sta curando di cosa gli succede attorno, ma solo della palla...
...e due secondi dopo sembra fare altrettanto, abbassandosi come a voler colpire un pallone che era già palesemente nella disponibilità avversaria invece di contrastare alto Anderson che in questo modo può impattare senza disturbo.

Purtroppo non parliamo più di una serata storta o di un caso isolato compensato da prestazioni confortanti nel mezzo: io mi arrendo all'evidenza che Ansaldi non sia un terzino e non abbia i fondamentali per farlo in Serie A. Suppongo che da quinto di centrocampo, senza specifici compiti di copertura che diventano talvolta decisivi, possa dare una mano alla squadra, ma nel suo attuale ruolo è molto più decisivo in negativo dietro di quanto non lo sia in positivo davanti.
Il mercato non ha purtroppo portato alcuna alternativa credibile nel ruolo, ma se fossi in Pioli inizierei a provare altre soluzioni: domenica sera, al cospetto di Cuadrado, farei più affidamento su Nagatomo che magari è anche limitato e poco presente in fase di spinta ma un errore difensivo come quello che Ansaldi ripete da settimane non gliel'ho mai visto fare.


Terza considerazione: c'è una oggettiva difficoltà, e non da ieri sera, a sviluppare gioco sulla trequarti centrale.
Banega ieri sera ha confermato la tendenza a non trovare mai una posizione convincente quando gioca lì e le trame verticali dei primi 20' sono state un'illusione: quando la Lazio ha capito i movimenti mai troppo sicuri dell'ex Siviglia, lo ha imbrigliato in un vicolo cieco da cui el Tanguito non è mai più venuto fuori.
Il risultato per l'Inter è stato ciò che abbiamo visto mille volte: gioco solo sulle fasce, orizzontale, alla mano per una montagna di cross che già non arrivavano a destinazione con Icardi in area, figuriamoci con Palacio.
Con Joao Mario questa tendenza cambia in meglio, ma solo a tratti e solo perchè il portoghese ha di per sé una duttilità che gli permette di trovare posizioni ibride, soprattutto sulle fasce, che permette di accentrare a turno uno tra Candreva e Perisic e mandare in tilt la macchina difensiva dell'avversario. Dopo lo 0-2 ed il rosso, infatti, l'Inter è passata di più per vie centrali sull'asse Brozovic-Joao Mario, cosa mai riuscita con Banega in campo.
Urge quindi considerare che fare per il futuro: se si vuole tenere questo modulo abbinato a questo stile di gioco, Banega è a mio modo di vedere un fardello più che un valore aggiunto, mentre Joao Mario può crescere ma sarà sempre un trequartista ibrido ed atipico. Ancora una volta si intravede qualche difetto strutturale nella costruzione della squadra titolare e nella profondità della rosa, uno dei principali problemi che ci hanno fatto girare al largo dalla lotta al vertice prima ancora di iniziare il campionato.

Ultimo, ma non meno importante, dobbiamo capire se c'è un problema mentale nell'affrontare le partite da dentro o fuori: si era visto molto bene in Israele a novembre, poi l'Inter è risorta in campionato ma ha riaperto in coppa con il Bologna una partita che aveva già parzialmente messo in ghiaccio rischiando di perderla ed infine ha concesso ieri alla Lazio ben oltre quanto non dica il risultato finale.

Pur senza il background dell'eliminazione diretta, questa situazione di una partita dove non c'è ritorno prima o poi si presenterà anche in campionato: penso soprattutto ai due scontri diretti con Roma e Napoli, soprattutto il primo dei due perché non è lontano.
Vincere vorrebbe dire credere perfino nel secondo posto, perdere significherebbe fare un consistente passo al di fuori dell'obiettivo prefissato: avremo lì una significativa controprova sulla maturità della squadra nelle situazioni decisive, perché in fondo potrebbe essere anche solo un problema legato alle coppe in questa stagione sulle montagne russe.

Domenica c'è la Juventus e non posso fare finta di ignorarlo, ma perdere sul campo di una squadra che in casa ha fatto bottino pieno senza mai toccare nemmeno il rischio di perdere una delle undici partite finora giocate, per me non sarebbe scandaloso.
Purché le lezioni della Coppa Italia siano imparate ed assimilate, trasformandosi in energia positiva per i prossimi, decisivi, due mesi di campionato.
Altrimenti sì, la campanella di fine stagione suonerà davvero molto prima del tempo.



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