I freddi, ma decisivi numeri portano un sorriso: l'Inter esce da due trasferte in tre giorni con un bottino di quattro punti, risultanti parte di una classifica che dopo un mese dice che la squadra di Spalletti ha perso per strada due punti sui 15 a disposizione.
Bene, bravi, bis: ma i sorrisi finiscono qua.
Tutto il resto visto in queste due prestazioni era già stato accennato parzialmente contro la Spal e non lascia spazio a volti perfettamente distesi perchè evidenzia molto bene dove il mercato dell'Inter non è arrivato in estate. Già in molti avevano messo l'Inter sul palco delle grandi protagoniste, glissando sull'impressione generale destata dalla squadra e nascondendosi dietro il dito delle squadre chiuse che non permettevano a Icardi e compagni di proporre il loro calcio. Il castello di carte è caduto a Bologna, dove c'è stata una squadra propositiva che ha surclassato l'avversario per quasi un'ora e quella squadra no, non era l'Inter.
Il Bologna per più di un tempo ci ha dato un'idea generale di cosa accadrebbe se oggi andassimo ad esempio a giocare a Napoli (a proposito, succederà a un mese da oggi): ci ha messo sotto con poche semplici mosse, tra cui una condizione atletica molto più convincente, un gioco fluido a massimo due tocchi, qualità sugli esterni, una fase difensiva organizzata a cui è bastato mettere la museruola a Borja Valero con il raddoppio della punta su di lui per disinnescare le nostre velleità di gioco corale. Una mossa che Donadoni ha mutuato da Nicola: aveva funzionato con Budimir, ha funzionato con Petkovic. Una mossa elementare che ci porterà spontaneamente la domanda più temuta: " È davvero tutto ciò che sappiamo e possiamo fare?".
La risposta in questo momento è sì, perché la spina dorsale della manovra ha delle vertebre martoriate dall'osteoporosi: parlo ovviamente di Joao Mario, fragile ed inconsistente elemento che dovrebbe essere portante e sta finendo invece con il rendere paralizzato l'intero impianto di gioco. Lì sulla trequarti l'equivoco è ormai di una certa evidenza anche per chi non fa colazione con pane e tattica: il portoghese non sa interpretare il ruolo nelle sue fasi più cruciali, ovvero l'incisività in fase d'attacco e la capacità di prendere decisioni giuste al momento giusto. No, Joao Mario non ha tempi, passo e piede per ricoprire quella posizione fondamentale per Spalletti e ad essere sinceri la colpa non è nemmeno sua: di una quota gol, assist e pericolosità generale non soddisfacente per il ruolo occupato ce ne eravamo accorti benissimo già lo scorso anno, doveva intervenire il mercato, ma sappiamo com'è andata e Spalletti si ritrova a dover fare la zuppa senza avere il fuoco mai abbastanza caldo per portarla a cottura.
La pentola poi deflagra rumorosamente quando viene disinnescato Borja Valero e l'esplosione del problema influisce maledettamente anche sul rendimento di Icardi, che sappiamo bene non essere un top di gamma dal punto di vista delle soluzioni in manovra e che, a Bologna come a Crotone, non riesce proprio a rendere compatibile la sua letalità sotto porta con la capacità di giocare anche venti metri più indietro quando l'attacco diventa prevedibile ed affannoso.
Il risultato, ahimè, diventa lo stesso di sempre: si attua un piano B che diventa convincente se Perisic è in stato individuale di grazia, ma diventa come ieri sera macchinoso e frustrante quando invece le sorti della manovra passano da Candreva che cercando Icardi solo in mezzo a 3-4 difensori finisce per fare il tiro al bersaglio su schiene, piedi e corpi avversari. Evidentemente, non potrà bastare a lungo per inanellare risultati positivi, quando fisiologicamente entreremo in una fase in cui gli episodi di gioco gireranno a sfavore.
La lettura più evidente è che il Borja Valero attuale non è Strootman, Joao Mario non è nemmeno cugino di sesto grado di Nainggolan e Vecino è un giocatore che diventa assolutamente anonimo se attorno a lui non c'è un sistema di gioco propositivo: tutte cose che sapevamo già, ma che ci hanno comunque permesso di mettere l'Inter su di un palco perchè l'idea alla base è golosa e vincente, ma gli ingredienti sono quelli che sono e anche aprendo il frigo per cercarne degli altri da inserire a ricetta in corso, il piatto piange.
Come uscirne?
La soluzione più immediata sembrerebbe l'apertura ad un cambio modulo, quel 4-3-3 che tuttavia rischia solo di spostare la toppa da una parte all'altra del campo perchè, se è vero che il rendimento di Joao Mario da mezzala potrebbe avvantaggiarsene, resta da vedere cosa cambia in negativo negli equilibri d'attacco. Penso soprattutto al rischio di depotenziare Perisic, che dovendo coprire il campo più all'interno che all'esterno dovrebbe certamente rinunciare all'uno contro uno sull'out come vero e proprio stile di vita. Un problema che potrebbe essere coperto da un terzino bravo almeno la metà di lui in questo fondamentale, si può scommettere su Dalbert ma sempre scommessa rimane: il certificato di garanzia in questo possibile cambio modulo non è di serie, ma passa da una moltitudine di variabili.
Rimane di positivo che i giocatori continuano a sembrare generalmente convinti di ciò che stanno facendo, la stragrande maggioranza di loro sa cosa fare in campo anche se poi non gli riesce, non sono al punto di perdere la brocca e lasciare che tutto vada a carte quarantotto.
La testa è ancora connessa e questa è la miglior base su cui fondare tutto il resto: è un castello di carte che per le 14 partite restanti da qui a gennaio potrebbe benissimo cadere (soprattutto a Napoli e a Torino sponda Juventus), ma su cui la differenza sarà fatta dalla capacità di rimettersi in piedi.
Da qui serve augurare il meglio a mister Spalletti, l'unico che può convincere la squadra di possibilità che al momento la squadra stessa non sa ancora di avere: "o risorgiamo come collettivo o saremo annientati individualmente, centimetro dopo centimetro."
In questo saliscendi tra palco e realtà, non dobbiamo dimenticarci che siamo l'Inter.
E quando sei l'Inter, la tua unica realtà deve essere il palco.