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giovedì 22 dicembre 2016

L'antipasto ci è piaciuto


Complimenti, Chef Pioli: l'antipasto ci è davvero piaciuto.
Noi che abbiamo desinato per tutto l'anno alla mensa comunale, dove inservienti in camice riciclato da chissà quanti anni ci hanno allungato con insolenza una scatoletta di Simmenthal e un piatto di fagioli in barattolo, ci siamo trovati all'improvviso per 45 minuti in un ristorante stellato a gustare piatti gourmet.

L'attesa è stata lunga, se posso essere sincero: per i primi 45 minuti si sentivano buoni profumi arrivare dalla cucina, ma niente di sostanzioso ci è stato servito. E più l'attesa si protraeva più stavamo là a capire se la solita deludente Simmenthal sarebbe arrivata subito o a fine pasto, tanto per farci arrabbiare ancora di più come già accaduto.
Invece gli antipasti sono arrivati ed erano tutti veramente gustosi.

Abbiamo iniziato con un Trionfo di Banega in salsa serba, un piatto consumato velocemente ma che lascia in bocca il buon sapore di qualcosa riuscito veramente bene. La salsa serba, di guarnizione, è un omaggio al buon Dejan Stankovic senza la cui aura non è possibile far uscire il piatto alla stessa maniera.
Il secondo appetizer arriva subito dopo: filetto alla Icardi in riduzione di Hernan Crespo, servito con un calice di "D'Ambrosio DOP etichetta oro" senza cui il piatto stesso non sarebbe potuto esistere.
Questa è stata di gran lunga la portata più godereccia perchè ha mischiato alla perfezione più sapori che in piatti passati, se messi assieme, si sono rivelati ai confini del disastroso.
A quel punto del pasto, la sensazione di appagamento era già presente e lo chef ne ha allora approfittato per offrirci il meglio della degustazione che avrebbe potuto portarci al tavolo: ad esempio ha reso quello che è stato finora il "bollito Miranda-Murillo" un arrosto dal sapore solido, robusto e sicuro. Un'aroma che già conoscevamo, ma che non sentivamo da tanto tempo.
Ha utilizzato una spezia segreta, chiamata Brozovic, che ha fatto la differenza in tutte le portate che ci sono state servite; dovunque mettevi un pizzico di Brozovic, il piatto decollava.
Sapori delicati, decisi o neutri: stava benissimo ovunque.
Il tutto è stato innaffiato con una bottiglia di "Kondogbia Gran Riserva", qualità e quantità, che non so da dove sia stata tirata fuori visto che fino ad oggi ordinando questa etichetta ci arrivava un irritante vino da due lire che il più delle volte sapeva di tappo o di aceto.
C'è stato anche il tempo per una millefoglie di Gabigol, più scenografia che sostanza, ma una base per costruirci sopra un piatto completo a tratti si è sentita.

Altri ingredienti non protagonisti dei piatti, come la colatura di Candreva e l'essenza di Handanovic, si sono rivelati comunque molto importanti per questa positiva esperienza che arriva in un momento in cui la materia prima sembrava proprio non trovare il modo di esser lavorata in maniera convincente.

Ora che facciamo, ci fermiamo?
Affatto. L'appetito vien mangiando e noi vogliamo assolutamente assaggiare le portate principali che lo Chef ci vorrà servire.
Nelle prossime due settimane in cui faremo pasti frugali in famiglia, lo staff del ristorante potrà lavorare sulla sinergia, la velocità, la costanza e l'attitudine; caratteristiche che se proposte una volta ogni tanto perdono il loro senso, qualità che se tirate fuori non solo per fare bella figura col boss in visita dall'Estremo Oriente risulteranno fondamentali nell'economia e nei risultati di questo locale in cui tutti noi riconosciamo indiscusse potenzialità.

Gli ultimi tre pasti che ci hanno fornito (menu genovese, menu emiliano e la degustazione di ieri sera) non sono stati tutti indimenticabili, ma sono stati sostanziosi. Significa qualcosa, significa avere un'idea di come fare le cose per bene con continuità.
Significa che anche se i problemi enunciati spesso restano, c'è la volontà di affrontarli e a tratti la capacità di farli sparire per quei 45 minuti.

Ci è piaciuto, ma era un antipasto.
Per riportare il locale ad antichi splendori ora è necessario riuscire a servire il menu completo, anche al cospetto di critici culinari ben più severi e anche se Mister Zhang non sarà in sala perchè affaccendato a Nanchino.
Palla (pardon: piatto) di nuovo a Chef Pioli, che si dice soddisfatto dello staff anche se sappiamo bene che ci sono dei Commis da tagliare e almeno un Sous-Chef da assumere a gennaio per completare la squadra che dovrà provvedere alla nostra fame nei prossimi mesi.

Resto seduto a questo tavolo almeno fino a giugno e se necessario anche di più in attesa di nuovi sapori da scoprire e vecchie certezze da ritrovare.
Se dopo le feste, che vi auguro di passare in gioia e serenità, vi vorrete sedere con me, scopriremo assieme se alla fine di questa esperienza culinaria rimarrà sulle papille gustative il dolce sapore di un buon dessert a coronare un pasto finalmente all'altezza della nostra fame.

lunedì 19 dicembre 2016

Non è ancora domani


L'Inter ha vinto: buona notizia.
L'Inter ha vinto in trasferta: notizia ancora migliore.
L'Inter ha vinto in trasferta grazie a Candreva: ottima notizia.

E poi, che altro? Poco, molto poco.
Non mi si fraintenda: il risultato mi sta benissimo come mi sta benissimo il fatto che, parentesi horror di Napoli a parte, dall'insediamento di Pioli l'Inter perde sicuramente con meno continuità di prima.
Il risultato è però l'oggi, l'effimero esito di una domenica che già tra poco più di 48 ore uscirà dalla memoria perché ci sarà un altro risultato su cui ragionare.
E allora, fatte le dovute rimostranze per la mia forzata assenza nel commento delle ultime prestazioni, vorrei prendermi cinque minuti con voi tutti per parlare anche un po' del domani.

Partirei dagli avversari: il Sassuolo al momento è lontanissimo parente della squadra che poco meno di un anno fa espugnò San Siro con un bel po' di fortuna, ma senza demeritare e che alla fine del campionato centrò egual obiettivo dei nerazzurri.
Vuoi per l'infermeria sold out, vuoi per la troppa inesperienza dei rincalzi in campo ieri, il Sassuolo si è dimostrato per tutta la partita un avversario assolutamente abbordabile per il tasso tecnico dell'Inter.
Nonostante questo, i nerazzurri continuano a produrre lo stesso canovaccio: non convertono abbastanza palle gol, tengono aperto un match che avrebbero potuto chiudere prima dell'ora di gioco, disperdono energie, soffrono e perdono pezzi (Joao Mario e Felipe Melo) in maniera evitabile se sapessero gestire correttamente una partita francamente gestibile.
Vecchi peccati che impediscono a Pioli di potenziare ulteriormente una squadra che mette a repentaglio la sua stessa crescita quando si accorge che sta crescendo.

La condizione fisica continua ad essere un problema che i buoni risultati stanno nascondendo: la realtà è che tra strattoni e folate, l'Inter persiste nell'esprimere a un discreto livello il potenziale per soli 60, massimo 65 minuti.
Negli altri 30 si potrebbero fare tante cose: congelare il pallone, addormentare il ritmo, far correre a vuoto l'avversario, pressare a turno sui portatori per centellinare le già esigue energie. Invece continuo a vedere fasi di partita in cui l'Inter non tiene un possesso, si schiaccia, si scompatta e non restituisce un'idea di solidità abbastanza convincente.
Come detto più volte, il problema della condizione fisica è destinato a rimanere tale fino al richiamo di preparazione di fine anno, ma vanno messe le cose ben in chiaro con i giocatori: così non va bene, nonostante la media di due punti a partita ottenuta con Pioli e la musica da questo punto di vista deve cambiare radicalmente entro la fine del mese di marzo.
Mercoledì è già tempo di Lazio che, anche se non ha la attuale velocità supersonica del Napoli, va sicuramente più forte in campo dei nerazzurri ed è in grado di far arretrare di uno se non due passi i piccoli progressi fatti fino a qua.
Considerando che la stagione è inevitabilmente compromessa, va costruita la mentalità dell'Inter che verrà e deve essere molto diversa da questa: in una squadra ambiziosa non si vivacchia sugli 1-0 sofferti a Sassuolo con una prestazione poco più che sufficiente, pensando sia il massimo da ottenere oggi come oggi.
Forse è vero che non si può ragionevolmente chiedere di più in una stagione così travagliata, ma guai a far passare l'idea che vivere alla giornata sia la chiave di volta per raddrizzare la stagione e per raggiungere gli obiettivi: è già accaduto lo scorso anno, quando il primato nascose tanti episodi girati bene e nessuno volle ammettere che il futuro prima o poi avrebbe presentato un conto molto salato.

Persistere nell'accettare obiettivi al ribasso rispetto a quelli di inizio stagione significa solo una cosa: assuefazione al ridimensionamento, primo spauracchio da combattere in una piazza che vuole tornare grande.

Guardando i meri numeri delle ultimissime sfide, sembrerebbe che la difesa si sia sistemata rispetto a qualche settimana fa: io dico invece che questo è un grande inganno.
La difesa e la fase difensiva sono grosso modo uguali a prima, con la sola differenza che i vari Simeone, Ocampos, Sensi, Ricci, Ragusa hanno perdonato troppi svarioni che domani un Mertens, un Higuain, un Salah non perdonerebbero mai.
I rischi presi nei primi trenta minuti contro il Genoa (tre palle gol nitidissime) e nei primi venti di Sassuolo sono inaccettabili nel momento in cui si realizza che gli errori da cui vengono generati sono sempre gli stessi (qualcuno ha detto Murillo?).
Per quanto mi riguarda è evidente che gli sforzi da effettuare nel mercato di giugno, mercato che inizia molto tempo prima (leggi più o meno ora), debbano avere un occhio di riguardo per un centrale di livello continentale.
Eviterei per stavolta il giovane di talento alla prima esperienza in una grande, come eviterei l'ex campione al tramonto della carriera che sverna in Italia per la pensione dorata: dal momento che la grana non sembra il primo dei problemi dell'attuale proprietà, indirizzerei correttamente le risorse economiche anche verso questa direzione, senza mettere a Gennaio toppe che alla fine rischiano di rivelarsi peggiori del buco.

In conclusione:
siamo più tranquilli rispetto a un paio di mesi fa? Indubbiamente, il potenziamento operato da Pioli è lento ma visibile e c'è un Candreva meritevole di essere riconosciuto come sontuoso solista di questa orchestra ancora un po' sgangherata.
Siamo però soddisfatti? Personalmente no, non sono soddisfatto di una squadra che all'avvicinarsi del giro di boa fa ancora fatica a capire chi é e fa ancora fatica a gestirsi in maniera convincente.

So che a Sassuolo le cose sono andate bene, ma so anche che non tutte le partite si possono approcciare e portare a casa in questa maniera.
Lavorare sulla mentalità significa soprattutto abbandonare la convinzione che questo tipo di vittorie in questo tipo di partite siano la base per grandi obiettivi, perché sono in realtà salvagenti che permettono di rimanere in linea di galleggiamento e non possono mai essere considerate fondamenta di un futuro radioso.

Perché dobbiamo ricordarci da che anni veniamo e quanti progressi abbiamo realmente fatto nel vivere sull'oggi, piuttosto di orientare il pensiero un po' più in là e dare vita a quella che si chiama programmazione.

La fotografia davanti ai miei occhi mi dice che non è ancora domani.
E purtroppo non lo è da molto, troppo tempo.


martedì 29 novembre 2016

Tutti insieme raffazzonatamente



Tre punti sono tre punti e non c'è notizia migliore di una vittoria per una squadra che se non è ancora malata, è quantomeno convalescente.
Tre punti sono tre punti e quando te li prendi non ti viene più da pensare che per un attimo hai rischiato di perderli, o quantomeno ne hai avuto la sensazione.
Tre punti sono tre punti e li archivi senza farti troppe domande, anche se analizzando la partita scopri una squadra che parte in assetto a testuggine e finisce, ancora una volta, troppo raffazzonata.

E' uno dei lati interessanti del tifare Inter: hai davanti a te una squadra che credi di conoscere e ti aspetti magari che persino la Fiorentina, squadra con problemi non così distanti dai tuoi, riesca a darti il colpo di grazia e invece succede che esulti tre volte nei primi venti minuti, come non ti capitava da quasi 27 anni (Inter-Bologna 3-0, 14 gennaio 1990) o come non ti era mai capitato, perché sei troppo giovane, nemmeno negli anni del primo Mancini e nemmeno nei gloriosi anni di Mourinho.
La nostra squadra questa volta ha un merito bello grosso, al netto della sua situazione: quello di aver indirizzato in modo decisivo la partita quando ancora c'erano gambe e testa per farcela per poi riuscire a gestire, pur senza più benzina e pur in vantaggio di un uomo, il solco creato giocando mezz'ora di manifesta ed abissale superiorità.
I problemi però rimangono e sono sempre, sinistramente, gli stessi.

A partire dalla condizione atletica: come stiamo vedendo da inizio stagione, l'Inter non gioca più di massimo 60 minuti nella stessa partita, che siano essi consecutivi o distribuiti a tratti nell'intera durata della partita. Non può più essere un caso se l'Inter arriva a un punto della sua partita in cui non è fisicamente in grado di tenere un pallone tra i piedi, come già visto in Israele e come già visto in alcune partite della vecchia gestione.
Se è sempre valido il detto "Chi non ha testa abbia gambe", l'Inter arriva puntualmente al momento in cui non ha nessuna delle due cose, trovandosi in uno stato paradossale in cui vengono meno i due ingredienti principali che servono per giocare a pallone, soprattutto a certi livelli. Un po' come un ristoratore che deve fare le patatine fritte e si accorge ad un certo punto, tutte le sere per settimane, che sono finite sia le patate che l'olio.
Sarei propenso a sposare la tesi secondo cui migliorando la tenuta atletica, può andare a migliorare anche la tenuta mentale: le due cose non sono sempre consequenziali, ma quando il carburante finisce e il motore si ferma chi sta alla guida non ha più nulla per cui usare la testa.
Quello della condizione deficitaria, se non inaccettabile a questo punto della stagione, è un tema che abbiamo toccato spesso e che si può cercare quantomeno di mitigare solo con il richiamo di preparazione di fine anno solare: con il calcio tambureggiante ed aggressivo che stiamo intravedendo nelle idee di Pioli il miglioramento atletico è una delle possibili svolte stagionali, giacché l'Inter finché corre è una squadra ancora lontana dalla perfezione ma certamente bella e ieri sera anche efficace.
Parli di efficacia e ti viene in mente che, fino al match con la Fiorentina, all'Inter servivano in media 12 occasioni prima di fare centro: ieri sera i nerazzurri sono andati a bersaglio 3 volte nei primi 4 tentativi verso la porta. Un dato confortante, che non ha però permesso di chiudere la partita come ci si poteva attendere e nel secondo tempo la conversione delle chances è tornata ad essere insufficiente (inaccettabile ad esempio l'errore di Joao Mario sul 3-2).
Considerazioni che ci portano all'ultimo problema atavico: perchè l'Inter non chiude le partite anche quando tutto lascia pensare che le abbia chiuse? La risposta, ancora una volta, sta nei gol regalati. Che sia Kondogbia (Bologna), Santon (Atalanta), Miranda (su Suso); che sia Murillo (in Israele) o che sia Handanovic (ieri spiazzato da trenta metri), l'Inter conserva l'irritante tendenza a prendere gol su errori individuali assortiti e troppo gravi per essere ignorati, principali responsabili degli 1,29 gol che l'Inter ha preso in media fin qua in campionato; un ritmo decisamente troppo permissivo per gli obiettivi preposti.

Se però l'Inter vince 4-2 ci sono sicuramente anche dei miglioramenti da registrare e in questo senso comincio a notare qualche buon risultato dall'avvento di Pioli.
Ad esempio, l'approccio alle partite che i nerazzurri non sembrano più sbagliare: nelle tre partite di Pioli, compresa quella in Israele, la squadra è partita convinta, aggressiva ed affamata trovando anche complessivamente cinque gol nella prima mezz'ora.
Una tendenza confortante che, se confermata, diventerà fondamentale soprattutto quando a San Siro si presenteranno le squadre medio-piccole che ti complicano maledettamente la vita se non sei in grado di mettergli subito in chiaro i valori tecnici superiori.
Seconda buona notizia: Antonio Candreva. Sembra un paradosso, visto il romanzo costruito sopra il laterale ex Lazio con l'avvento di Pioli, ma in questo avvio del tecnico parmigiano il numero 87 ha trovato gol e continuità di rendimento nella partita, in entrambe le fasi. Non è ancora al suo meglio, ma oggi penso si possa tranquillamente affermare che il miglior colpo estivo, a dispetto di come la pensavo io stesso, è proprio lui.
Con buona pace di Joao Mario che, dopo un inizio da sogno, per ora è in fase calante ed in attesa di tempi migliori che certamente arriveranno anche per lui e di Banega, che dà segnali di centralità e miglioramento, ma deve trovare quella maledetta continuità che la sua carriera non vuole proprio concedergli.
Parlando di fascia destra, registro la seconda partita molto positiva di Danilo D'Ambrosio: uno dei pochissimi che sembra non perdere mai fiato e voglia di arrivare sul pallone prima degli altri. D'Ambrosio, anche al suo culmine, rimarrà sempre D'Ambrosio ma è altrettanto vero che un rendimento di questo genere, se continuo, una pezza al problema dei terzini può tentare di metterla.
Ultimo, ma non ultimo c'è Mauro Icardi: due gol (11 e 12 in questa Serie A, 68 e 69 complessivi in massima serie), un'espulsione propiziata che non bastano, come non basterebbe nulla, per cambiare il pregiudizio di una parte della tifoseria su di lui.
Non più tardi di domenica mattina, dopo la vittoria del Milan a Empoli, sono stato richiamato
 su Twitter (con lo scopo di rafforzare a mesi di distanza il concetto originale) ad una conversazione di giugno in cui mi si diceva che un 9 come Lapadula serviva all'Inter ("Polli a non prenderlo"): senza nulla togliere alle abilità certamente interessanti dell'ex Pescara, non trovo una spiegazione logica al diffuso pensiero che all'Inter manchi un 9.
Possiamo certamente dire che Icardi potrebbe essere più completo, ma estremizzare il concetto chiudendo gli occhi di fronte al contributo in termini di gol di questo attaccante in nome del fatto che "l'attaccante moderno" oltre a segnare è obbligato a pelar patate per 90 minuti, mi sembra sempre più tendenzioso e pretestuoso come discorso.
Icardi può starvi sulle balle finché volete, ma ancora una volta la differenza tra il pareggio e la vittoria sono due gol suoi: i fatti sono incontestabili.

La chiosa la dedico alla polemica che si è creata sull'arbitro: pare che nella tifoseria interista sia assolutamente vietato constatare che questa volta l'arbitraggio ha girato dalla parte giusta. Sull'espulsione a Gonzalo (non uno scandalo, ma personalmente mi permangono dubbi sulla chiara occasione da gol), sul calcio di rigore non concesso a Gonzalo stesso (a parti invertite) personalmente lo avrei reclamato), sul fallo solare di Ranocchia non ravvisato che dà il via al gol del 4-2.
Mi chiedo davvero che male ci sia a fare questo tipo di constatazioni, quando si è dalla parte della vittoria e quando tali episodi non pesano sulla vittoria stessa in maniera oggettivamente incontrovertibile.
La Fiorentina deve cercare in casa sua le responsabilità della sconfitta, come l'Inter lo deve fare quando tocca a lei finire nel vortice dell'errore umano di chi tiene il fischietto: cercare all'esterno la responsabilità delle proprie cadute (salvo casi eccezionali e ormai lontani nel tempo, ovviamente) è la primissima chiave per instillare una mentalità perdente fatta di alibi e di colpe altrui.
Siamo l'Inter e dobbiamo ricordarci che le vittime designate sono quelle che nella vita non raggiungono il successo.

Tre punti sono tre punti e ce li prendiamo come si prende una boccata di ossigeno uscendo dall'apnea, tre punti nonostante i problemi, nonostante le perplessità.
Tre punti da goderci, almeno oggi, tutti insieme.
Anche se un po' raffazzonatamente.

venerdì 25 novembre 2016

Paranormal Activity




(Sospiro)
Più di una figuraccia.
Più di un'agonia.
Più di un disastro.
Più di una pandemia.
Più di un'apocalisse.
Sono trascorse cinque partite di Europa League e in tutto avremmo visto 30-40 minuti fatti bene in mezzo a cose che non si dovrebbero vedere nemmeno in un campionato CSI.
A partire dal primo gol preso a San Siro da Miguel Vitor, proseguendo con il Mannequin challenge di Praga, passando per il tragicomico intervento di Nagatomo a Southampton per poi finire con il secondo tempo israeliano della coppia Miranda-Murillo provocante il sinistro pensiero che perfino la coppia centrale Bia-Festa di ritorno dalla rabbuiata Inter di metà anni '90 se la sarebbe cavata meglio.

Riuscendo a regalare 6 punti su 6 (impresa mai riuscita prima nelle competizioni europee a girone) al pur volenteroso, ma pittoresco Hapoel Beer Sheva.
Riuscendo a far segnare un gol anche al macchiettistico Lucio Maranhao, 8 club cambiati in 4 anni tra cui sei di Serie B brasiliana e uno nella sperduta Thailandia del cui campionato ignoravamo persino l'esistenza. Lucio Maranhao, che se lo ripetete tre volte di seguito vi sembrerà il nome di una maschera di carnevale e che invece ha ridicolizzato gente come Miranda e Murillo facendo una sola cosa: impegnandosi.
Miranda e Murillo, i titolari della difesa dell'Inter che è la sesta peggiore dell'intera Europa League, una competizione popolata da squadre come Zorya Luhansk, Qarabag, Astra Giurgiu: mi fermo per decenza, perché chiunque di voi abbia visto almeno un matchday di questa competizione può rendersi conto del livello medio di questo torneo in questa fase.

Qua c'è del paranormale.
Qua ci vogliono i fratelli Winchester direttamente dalla serie Tv Supernatural per aiutarci a capire quali dannati demoni o spiriti stanno attanagliando questa squadra, pur non sapendo se è il caso di chiamarla così o no.
Non c'è alcuna logica nel giocare 55 minuti col braccio fuori dal finestrino, ridicolizzando a tratti il modesto avversario con giocate a tratti sopraffine, per poi giocarne 35 senza più vedere un pallone nemmeno per sbaglio.
Non provate a dirmi che dipende solo da un crollo fisico: non esiste regalare tre gol in mezz'ora a quella squadra perchè sei crollato fisicamente.
Non esiste solo il crollo fisico se Murillo a difendere fa la stessa figura che io farei in un saggio di danza classica, con la sola differenza che Murillo il calciatore lo fa di professione.
Gli israeliani non segnavano in Europa dal 15 settembre, guarda caso proprio contro l'Inter, e non sono stati capaci di segnare nelle altre tre partite del girone: a noi ne hanno fatti cinque. Cinque!
Non veniamo a raccontarcela: l'Inter è sicuramente calata fisicamente, un copione a cui siamo abituati, ma non ha fatto nulla di nulla di nulla di nulla per togliersi le infradito dai piedi e il mojito dalle mani, in un sorta di gita premio in Israele interpretata dal 45' in poi come si interpreta una gita in seconda superiore.
C'è del paranormale in chi non solo ha permesso che tutto ciò succedesse una volta, ma ha anche permesso che questo indisponente ed irritante atteggiamento si reiterasse nel tempo regalandoci una saga europea che Malmo, Lugano ed Helsingborg sembrano a confronto dei semplici e sfortunati incidenti di percorso.

(Sospiro)
Non riesco bene a capire se non avessero fiato, non avessero voglia o non avessero interesse, potrei anche capire un discorso di priorità in cui l'Europa League diventa un possibile futuro fastidio quando c'è da recuperare in campionato. Davvero, lo trovo indegno ed irrispettoso, ma lo potrei comprendere.
Però non capisco per quale motivo andare in Israele a giocare mezza partita sul velluto, tra orpelli, tricks e la totale libertà di fare cose belle ed efficaci se poi ti devi ripresentare in campo così.
Mettiamo per assurdo, o nemmeno tanto assurdo: vuoi proprio farti eliminare? Il 2-2 sarebbe bastato per raggiungere lo scopo. Quindi mi si deve spiegare perchè al 93' qualcuno dei nostri si è fatto la passeggiatina stile ultimi minuti del calcetto tra amici mostrando la strada della vittoria agli avversari.

La grande paura che mi attanaglia da tifoso è il rapporto con la sconfitta di questi giocatori: ci flirtano, ci fanno pensieri perversi, ci si eccitano forse?
Non posso pensarla diversamente, nel momento in cui l'Inter sceglie deliberatamente di perdere la partita in coincidenza con il gol dell'1-2 dal già citato Maranhao. Rivedete il secondo tempo, se avete lo stomaco forte, e vi accorgerete che l'Inter la partita la perde proprio in quel momento.

E' forse questa coppa, questa competizione a stare prepotentemente sui coglioni a questi giocatori? Spiegazioni che non so darvi io e su cui chiedo il vostro conforto e confronto.

In questo quadro degno di una pellicola di Wes Craven, una certezza ce l'abbiamo: l'allenatore, chiunque sia, non è un attore protagonista di questo perverso horror.
Fa solo da Sparring Partner andando dopo la partita a cercare di spiegare perché lui era l'unico ad avere trance agonistica nel secondo tempo, a cercare di spiegare il paranormale che spariglia totalmente un piano partita che era valido ed efficace, come dimostra la prima parte di match, a cercare di spiegare perché giocatori abissalmente superiori agli avversari sul piano tecnico diventano improvvisamente figuranti a cui il pallone nemmeno sembra piacere.


La sola speranza è che senza il peso della competizione europea si ritrovi almeno il piacere di giocare e giocarsela in campionato e la si smetta di trattare la vergogna come un'amica di lunga data da ospitare in casa spesso e in maniera prolungata.
Vediamo se adesso può iniziare un'altra stagione, con una sola competizione di cui occuparsi e una rincorsa a coprire il gap di una stagione già compromessa.
Poi magari succede che arrivi di nuovo in Europa League e il loop ricomincia esattamente come prima e allora sarà il caso che qualcuno ci dica chiaramente dove vogliamo andare domani, invece di dirci che tra tot anni vogliamo essere tra i top del top del top del top senza ben spiegare come faremo ad arrivarci se non reggiamo l'impatto delle corazzate Sparta Praga e Hapoel Beer Sheva.
Intanto c'è un ranking Uefa che abbiamo già finito di aggiornare e che ci vedrà certamente sotto il 50°posto se non peggio a fine anno. Significa che se anche vuoi inseguire il miraggio terzo posto, poi è sicuro che te la dovrai vedere con inglesi o spagnole o tedesche: se perdi si va di nuovo in Europa League e il loop ricomincia.

(Sospiro)
Aiutateci ad aiutarvi, giocatori dell'Inter.
Aiutateci a darvi delle attenuanti, aiutateci a non dover credere che boicottate la maglia o che la indossate come si indossa una t-shirt da 5 euro.
Aiutateci a spiegarvi, visto che non ci arrivate, perché non si devono perdere partite come quella di ieri sera.
Aiutateci a farvi recepire che si può perdere, ma non si deve perdere così.

Aiutateci a rimanere innamorati di questi colori, perché è diventata una cosa sempre più difficile da reggere.

Aiutateci.
Altrimenti non aspettatevi che a un certo punto noi aiuteremo voi.

giovedì 24 novembre 2016

Le chances di passaggio turno dell'Inter in Europa: ai confini del miraggio



In molti si stanno chiedendo e mi stanno chiedendo le reali possibilità di qualificazione dell'Inter in Europa League, tremendamente complicate dalla sconfitta di Southampton ma matematicamente ancora possibili.
Ho percepito nella tifoseria la voglia di cercare ogni appiglio pur di rimanere nella competizione, ma devo ammettere che ad oggi la qualificazione sembra qualcosa di molto simile ad un miraggio, che ha sempre meno forza per delinearsi come qualcosa di concreto.

Andiamo con ordine e vediamo cosa può venir fuori dagli ultimi due matchday del nostro gruppo:

INTER SCONFITTA IN ISRAELE
In questo caso, i nerazzurri saluteranno la competizione già stasera e scenderanno in campo con lo Sparta Praga da già eliminati: sarebbe infatti impossibile colmare il gap di 4 punti che si creerebbe con l'Hapoel Beer Sheva.

INTER PAREGGIA IN ISRAELE
Anche in questo caso l'Inter sarebbe eliminata già da stasera in tutti i casi.
Pur volendo considerare il migliore dei casi (Saints sconfitti a Praga), la classifica sarebbe:
Sparta 12, Southampton 7, Hapoel 5, Inter 4.
Dovendosi scontrare inglesi e israeliani all'ultimo matchday, la soglia minima per il secondo posto diventerebbe di 8 punti, irraggiungibile per i nerazzurri

INTER VINCE IN ISRAELE
Con la vittoria l'Inter tiene aperta la porta agli ultimi spiragli di qualificazione salendo a 6 punti e rimandando ogni verdetto all'ultimo matchday, in casa contro lo Sparta Praga.
Logica suggerisce che lo scenario migliore sarebbe la vittoria dei cechi contro i Saints, in modo che poi l'8 dicembre vengano a San Siro già qualificati e certi del primato nel girone; anche in questo caso comunque è il Southampton ad avere in mano i giochi qualificazione, perchè con la vittoria in casa contro l'Hapoel gli uomini di Puel sono qualificati in ogni caso.
Se invece i Saints espugnassero Praga questa sera, l'Inter tornerebbe a poter ragionare sul suo destino che si compierebbe positivamente battendo poi i cechi con almeno 3 gol di scarto o col risultato di 2-0.
C'è teoricamente una possibilità anche con il 3-1, ma a quel punto entrerebbe in gioco la differenza reti generale e le variabili diventano difficili da prevedere.

Ricapitolando tutte le varie eventualità, ecco di seguito come i nerazzurri possono rimanere aggrappati all'obiettivo sedicesimi di finale:

INTER QUALIFICATA SE:
- Batte l'Hapoel e il Southampton batte lo Sparta + batte lo Sparta 2-0 o con 3 gol di scarto indipendentemente dall'altro risultato
- Batte l'Hapoel e lo Sparta batte il Southampton + batte lo Sparta e il Southampton non vince contro l'Hapoel
- Batte l'Hapoel e Sparta-Southampton finisce pari + batte lo Sparta e il Southampton non vince contro l'Hapoel

INTER ELIMINATA SE:
- Perde o pareggia con l'Hapoel
- Batte l'Hapoel + perde con lo Sparta
- Batte l'Hapoel + pareggia con lo Sparta (in caso di arrivo a 7 punti di Inter, Southampton e Hapoel passano gli israeliani per classifica avulsa)
- Batte l'Hapoel e lo Sparta vince o pareggia col Southampton + batte lo Sparta e il Southampton vince contro l'Hapoel
- Batte l'Hapoel e il Southampton batte lo Sparta + batte lo Sparta con un solo gol di scarto o con due gol di scarto ma subendone almeno due (4-2, 5-3)


Anche qualora arrivasse la qualificazione, ad ogni modo, in nessun caso l'Inter potrà vincere il girone e passando da seconda troverebbe nell'urna dei sedicesimi le prime dei gironi + le 4 migliori terze (in termini di punti nel girone) che retrocedono dalla Champions League.

Ai confini del miraggio, ma ancora in gioco: che cosa dite, possiamo crederci?
A voi l'ultima parola.

mercoledì 23 novembre 2016

Il bicchiere non esiste



"La stagione è salva", avrà pensato qualcuno nell'euforia post gol di Perisic che toglieva l'Inter dall'ennesimo imbarazzo per l'ennesima sconfitta stagionale.
Il pensiero a caldo ci sta: hai ripreso il Milan all'ultimo respiro, gli hai tolto l'urlo liberatorio di bocca e hai una sensazione di giustizia per una partita che a conti fatti non meritavi di perdere.
Poi, perché nel calcio sfortunatamente devi sempre fare i conti col poi, ti si figura davanti la classifica e ti rendi conto che effettivamente sei emerso dal vortice ma non ti sei affatto tolto dalle sabbie mobili. Il derby è stato pareggiato, ma per iniziare solo a ragionare su termini di un certo peso come "svolta", "crocevia", "stagione che gira" il derby serviva vincerlo, perché il saldo punti resta deficitario e il Milan resta troppo in alto, nelle posizioni che determinano il tuo obiettivo.
Possiamo discutere a lungo sulla possibilità che il Milan meriti o meno la classifica che ha, che a un certo punto crollerà, che la fortuna gira eccessivamente dalla sua parte: la verità, secondo me, è che il Milan ha fatto di necessità virtù giocandosela nel solo modo utile per conseguire risultati in una partita come questa, al netto della rosa a disposizione.
Una partita tatticamente simile al derby l'Inter l'ha giocata e vinta contro la Roma poco più di un anno fa e quel Milan non è molto distante da quella Inter: si difende con discreto ordine, è veloce a ripartire, propone soprattutto il contropiede e i risultati al momento dicono che l'atteggiamento paga, come lo dissero a noi interisti 365 giorni fa.

Possiamo davvero disquisire a lungo su tutto questo, ma la classifica di Serie A si basa sui risultati e non sul merito, ragion per cui siamo entrati in una fase in cui ogni partita servirà per salvare la stagione: succederà domani in Israele, succederà lunedi con la Fiorentina e venerdì con il Napoli e ci sono ottime probabilità che questa striscia di ultimi appelli ed ultime spiagge proseguirà imperterrita fin quando la classifica non ci dirà, se lo dirà, che siamo rientrati in carreggiata e che il countdown della bomba ad orologeria pronta a deflagrare su una stagione nata male e proseguita peggio si è finalmente fermato.

L'operazione "salva-stagione", affidata a Stefano Pioli (a proposito: non male l'esultanza convinta e liberatoria nel derby, è una piccola cosa ma serviva), è appena iniziata, ma potrebbe già finire nell'arco di poco tempo giacché la stagione è visibilmente compromessa, davanti ci sono partite non propriamente morbide (una parte di voi nemmeno era stata concepita quando l'Inter vinse per l'ultima volta al San Paolo in Serie A) e soprattutto l'Inter, come era lecito attendersi, è uscita dal derby consapevole di dover lottare con gli stessi problemi di sempre.

A partire dalla condizione atletica: non c'è altro modo di poter spiegare con una logica per quale motivo si prende un gol al 40' del primo tempo da una rimessa del portiere, con la squadra in 80 metri di campo come stesse giocando da un mese e mezzo, con il tappeto rosso ad apparecchiare il comodo coast-to-coast di Bonaventura per 40-50 metri.
Hai voglia poi a prendertela con Ansaldi che lascia due centimetri e mezzo di specchio a Suso, se a monte c'è un intero centrocampo che a neanche metà partita sbraca e non ha più fiato nemmeno per riposizionarsi.
Anche se questo è un problema irrisolvibile fino al richiamo di preparazione di fine dicembre, è impensabile che l'Inter sia efficace nel tipo di gioco propositivo visto anche domenica sera se nei fatti la sua partita dura 60 minuti, che siano consecutivi o distribuiti nel corso del match.

Nonostante la sgambatina che è costata un gol, il centrocampo è stato apprezzabile in fase di possesso ma tale padronanza ha suo malgrado evidenziato un altro limite ormai atavico ed evidente della squadra, la difficoltà nel finalizzare: dati alla mano, all'Inter servono qualcosa come 12 tiri prima di riuscire a buttare la maledetta palla in rete. Impossibile mirare all'alta classifica se non si sistema in fretta questa anomalìa e ben venga che anche in una serata nera come la pece per Mauro Icardi siano venuti fuori i gol degli esterni offensivi di cui c'era una necessità ormai disperata: a questo proposito, segnalerei l'interessante mossa di Pioli nell'accentrare Candreva per avere maggiori possibilità di successo nella conclusione.

Se l'attacco piange, la difesa non ride: Pioli sembrava averla azzeccata con l'arretramento di Medel di cui si parlava senza seguito da tempo, ma dato che la malasorte ci vede benissimo ha lesionato il menisco del Pitbull nel momento in cui aveva finalmente messo d'accordo tutti i tifosi sul suo contributo alla causa.
Uscito il cileno, ha iniziato a grandinare nella trincea nerazzurra ed è fin troppo superficiale incolpare Murillo entrato a gara in corso perché, come già spiegato, il peccato originale si trova nella fase difensiva deficitaria dell'intero collettivo che non trova più un punto di riferimento in Miranda, attualmente parecchio lontano dalla sua scintillante versione di un anno fa: troppo evidente il modo in cui si pianta a terra regalando a Suso le chiavi della porta nerazzurra proprio nel momento in cui l'inerzia del derby poteva girare a nostro favore.

Ultimo, ma non meno importante, è il problema dei terzini: Ansaldi ad oggi, date tutte le attenuanti possibili sul suo stato di forma, non ha spostato davvero nulla in un reparto già ai minimi termini qualitativi. Diventa davvero necessario investire su un sicuro fuoriclasse, soprattutto per questo tipo di gioco, senza continuare a tirare a campare con la buona vena di D'Ambrosio che ha giocato un derby ottimo ed ammirevole ma che è pur sempre D'Ambrosio e nulla più.

Ma allora, Santucci, ci stai dicendo che il bicchiere è mezzo vuoto?
No, affatto: se pareggi un derby così non puoi non godere del prezioso liquido che ti smorza sulle papille l'amarezza che avrebbe lasciato la sconfitta.
Ciò che temo è che l'andamento del derby sposti scelleratamente l'asticella emotiva dall'abisso ad un'euforia che non sarebbe del tutto giustificata: tante partite difficili davanti e vecchi vizi da togliersi quando però di tempo e di occasioni ce ne sono sempre meno o non ce ne sono quasi più.
Non è cambiato nulla rispetto a prima, quindi: sì e non poteva essere altrimenti, non ho ancora comprato il panettone ed ho già visto transitare tre allenatori in questa stagione, l'ultimo dei quali ha lavorato senza mezza squadra per preparare il suo infuocato esordio.
O forse no, forse una cosa è cambiata: un episodio che è girato giusto nell'unico momento in cui serviva girasse giusto non si era mai visto in questo avvio, per ora potrebbe anche bastare che Pioli sia un cavallo fortunato senza la necessità di essere un cavallo di razza.

Il bicchiere è mezzo pieno allora?
No, il bicchiere d'ora in poi non esiste perché non possiamo più pensare che possa andare bene una partita come quella di domenica, con gli stessi comuni denominatori di molte altre: buone idee e numeri promettenti da una parte ma dall'altra parte pochissima finalizzazione e gol presi da polli.

No.
Le mezze misure devono iniziare ad andarci strette, se vogliamo uscire da questo loop in cui la coperta è sempre inesorabilmente troppo corta e sono certo che Pioli lo sappia molto bene.

Buona fortuna, mister: ne avrà davvero tanto bisogno.

venerdì 11 novembre 2016

Make Inter great again!



Prendo la macchina del tempo e torno all'anno 1991, in un mondo che ha una faccia completamente diversa da quella di oggi.
Compro il mio bravo spazio su un giornale sportivo, ancora molto serio ed attendibile nell'epoca in cui mi trovo, e annuncio una cosa tipo: "Io conosco il futuro e vi posso garantire che tra 25 anni lo showman del wrestling Donald Trump sarà Presidente degli Stati Uniti e il difensore della Fiorentina Stefano Pioli sarà allenatore dell'Inter. Di più: queste due cose succederanno nella stessa settimana".
Se una cosa del genere fosse stata davvero scritta nel 1991, tra le pagine che parlano della prossima fine dell'URSS e di Maradona positivo per la prima volta all'antidoping, avrebbero causato ilarità, scherno, incredulità.
Ma come, noi ci aspettiamo le macchine volanti e gli extraterrestri e tu ci vieni a dire queste cose?
Mentre torno nel 2016 penso che effettivamente le persone del 1991 non avevano tutti i torti ad avere un'altra aspettativa di progresso, ma ciò che non sapevano è che le condizioni in cui avvengono questi eventi sono decisive.
Come Trump difficilmente avrebbe potuto spuntarla senza il moto dell'antipolitica ormai consolidato nell'elettorato di tutto il mondo, così Pioli difficilmente sarebbe sulla panchina dell'Inter se la dirigenza nerazzurra avesse azzeccato con lungimiranza le scelte del recente passato.
Entrambi sono ora in un posto che nel 1991 avrebbero certamente ambito, ma che sono assolutamente convinto non si sarebbero mai potuti aspettare: entrambi, per motivi diversi, hanno raggiunto questa occasione grazie agli errori dei loro predecessori e al fallimento di modelli ritenuti sicuri che hanno invece tradito elettori e tifosi.

Senza scomodare ulteriormente il Presidente in pectore degli USA, vi dirò che Stefano Pioli non è certo l'allenatore che avrei scelto all'inizio dell'ennesima stagione che non si può(non si poteva?) sbagliare, ma devo ammettere che sembra aver capito dove si trova e quali sono i problemi principali: la necessità di cementare un gruppo che ha ancora troppe fazioncine interne per potersi comportare da squadra, l'applicazione di determinati principi di gioco su cui De Boer, risultati alla mano, è andato pur coraggiosamente anche oltre il sostenibile, la suddivisione tra giocatori intelligenti e giocatori meno intelligenti.
Quella dei principi di gioco più importanti del modulo non è una frase fatta per Pioli, che ha dimostrato sul campo di saper applicare questo concetto all'ennesima potenza nella sua avventura alla Lazio; mi aspetto da lui sicuramente delle scelte conservative per l'immediato, giacché al di fuori del risultato adesso conta veramente poco, e se queste avranno successo potrà allora iniziare a giocare col potenziale della rosa per trovare la soluzione più congeniale.
Pioli trova condizioni che molti dei suoi predecessori non hanno mai avuto tutte insieme nello stesso momento: ha il placet della proprietà, ha il sostegno della dirigenza che lo ha scelto, ha le ingenti risorse di Suning per migliorare la squadra sul mercato e ha la rosa qualitativamente migliore degli ultimi 4 anni.
Con intelligenza, tempismo e buon senso, Pioli può avvantaggiarsi in modo forse decisivo dell'impressionante serie di errori fatti dalla dirigenza negli ultimi mesi, perché con Bolingbroke messo alla porta senza appello (ah, avevate creduto alle dimissioni spontanee?) ora è piuttosto chiaro che la Cina non ha nessuna voglia di scherzare e nessuna intenzione di passare sopra agli errori commessi dai quadri dirigenziali.
Attraverso questi venti che soffiano a favore sulla barca a vela di Pioli, il tecnico parmense può almeno tentare di essere il potenziatore che auspica di poter diventare.

In ultima analisi la scelta di Samuel, di cui Pioli ha rivendicato la paternità, mi sarebbe sembrata un po' ridondante in altre condizioni, ma assolutamente sensata in questo momento in cui sono in molti a non avere idea di quanto peso specifico abbia la maglia dell'Inter.
Wally non è certamente la panacea a tutti i mali, cosa che ci dobbiamo ricordare se i risultati non arriveranno senza scadere nelle becere sentenze alla cieca, ma può diventare una figura ispirazionale per molti nella rosa attuale che potrebbero così imparare ad essere forti, continui, impeccabilmente professionisti e mai sopra le righe o fuori posto con le parole come Samuel è sempre stato.
I problemi sono possibilità che vengono offerte per fare meglio, diceva un tale, e dopo aver pagato con risultati spietati i problemi che l'Inter si è creata da sola in tutti i modi e le componenti possibili, questa potrebbe rappresentare un'opportunità per instillare almeno le basi ed i principi di un radicale cambiamento che non può davvero più aspettare.

Pioli, Samuel, dirigenti, calciatori, tifosi: la palla passa a voi.
Make Inter great again, tutti insieme.
O quantomeno facciamo vedere che ci vogliamo provare.

venerdì 4 novembre 2016

De Profundis


C'era una volta la coppa delle grandi imprese.
C'erano una volta gli Aston Villa e gli Strasburgo.
C'era una volta l'Inter delle tre Coppa UEFA vinte più una finale persa ai rigori.
C'era una volta un torneo in cui centrare almeno i quarti era il minimo sindacale per l'Inter, c'era una volta la vecchia Inter che usciva male col Lugano, reagiva e negli anni successivi si faceva due finali consecutive.
C'era una volta perché ora non c'è più.

Abbiamo accettato con molta fatica il forzato ridimensionamento alla Coppa UEFA dopo un decennio di Champions e da quando abbiamo dovuto tenerci liberi il giovedì non abbiamo mai visto nulla oltre gli ottavi.
Oggi ci svegliamo e dobbiamo prendere atto che la nostra dimensione già ridimensionata non è nemmeno questa.
Dobbiamo prendere atto che parlavamo di stare al passo degli squadroni che un lustro fa mandavamo a casa per poi scoprire che Southampton, Sparta Praga e Hapoel Beer Sheva sono troppo per noi.
Dobbiamo prendere atto che in un girone che sembrava servito sul piatto delle feste, la matematica è rimasta l'unica sponda a darci ancora credito e giù di calcoli desolatamente fini a loro stessi.

Inutile parlare della partita, inutile sottolineare la preparazione penosa a quello che doveva essere un crocevia stagionale, inutile spendere ancora energia negativa per descrivere la situazione.
Rimarrà l'orgoglio sotto i tacchetti di una squadra che al 69' della sua quarta partita ha accettato l'uscita dall'Europa tra pomodori e fischi e lo ha fatto a testa bassa, senza ribellarsi.
Lo scempio di Nagatomo rimarrà l'istantanea di questa stagione europea, a metà tra l'orrendo e il ridicolo.
Nient'altro si riesce a dire.

Andate avanti voi, che a me viene da ridere.
O forse da piangere.


lunedì 31 ottobre 2016

L'Inter che poteva essere




Riavvolgiamo il nastro.
Siamo a inizio giugno, sta per iniziare Euro 2016, state pensando alle meritate vacanze estive e nel frattempo l'Inter in Cina sta celebrando la transizione che porta Suning a capo della Società nerazzurra: arrivano i soldi, arrivano le competenze, arriva la chiarezza ergo arriveranno i risultati.
Tutte le componenti della Società hanno apparecchiato il nuovo corso preparandolo all'insediamento con il massimo del tempismo decisionale. Roberto Mancini non è riuscito ad agganciare il posto in Champions League e dopo qualche giorno di colloqui la decisione è presa: dividiamo le strade ora, per il bene dell'azienda e della squadra in cui ci troviamo, e facciamolo prima che sia troppo tardi per organizzare un nuovo corso.
La Società ha programmato da tempo questo passaggio, ha già allertato da tempo il nuovo allenatore e sottotraccia ha già iniziato a cercare dei giocatori compatibili con le esigenze della Società tanto quanto col progetto tecnico dell'allenatore, che sono certi di aver recepito perfettamente prima di sceglierlo.


Mentre l'attenzione di tutti è concentrata sulla gradevole Italia di Conte nella sua avventura in Francia, l'Inter consegna la sua squadra al nuovo allenatore e nel contempo fa avere un messaggio a tutti i giocatori, quelli che sono in vacanza e quelli che sono con la propria rappresentativa: "Abbiamo un nuovo allenatore, crediamo in lui per tornare in alto, avete tre mesi di tempo per decidere se remare dalla sua parte o chiederci la cessione: fate la vostra scelta confermandoci preventivamente di avere ben chiare le condizioni societarie, perché quanto vi abbiamo detto non cambierà nel tempo."
De Boer si presenta a inizio giugno preparandosi qualche parola in un discreto italiano che aveva già iniziato a studiare sapendo che la sua nuova avventura sarebbe iniziata da lì a poco. I giornalisti presenti in sala non ridacchiano, ma anzi apprezzano di essere stati tolti dall'imbarazzo di dover parlare in inglese in diretta.


 L'estate e il mercato si trascinano fino alla fine di Agosto, con De Boer che ha instillato i suoi dettami nei giocatori che li hanno voluti recepire ed ha congedato con una pacca sulla spalla e tanti auguri di buona fortuna i giocatori che invece sono rimasti fedeli a concetti tattici e disciplinari ormai vetusti.
La Società, che nel frattempo si è riorganizzata nell'organigramma, organizza un meeting al giorno con il nuovo tecnico, con un'agenda chiara e definita: A che punto siamo, a che punto dobbiamo essere, cosa possiamo fare sul mercato, cosa possiamo sistemare nella rosa, cosa possiamo fare per mettere l'allenatore nelle condizioni ideali per svolgere al meglio il suo lavoro.

Strano, vero?
A guardare fuori dalla finestra oggi, con la nebbia autunnale, le foglie per terra e 14 miseri e piangenti punti in classifica facciamo mente locale e ci accorgiamo che non è successo niente di tutto questo.
De Boer è stato preso tardivamente e gli è stato detto pressappoco: "Questa è la Pinetina, questa è la squadra, questo è Thohir e adesso la salutiamo e le diamo carta bianca, faccia quello che crede, contiamo su di Lei: arrivederci."
I giocatori si sono ammutinati perché vogliono giocare in maniera diversa o forse non sono uniti nemmeno in questo, forse siamo arrivati al punto che ognuno è l'allenatore di se stesso, di certo sappiamo che non esiste una figura autorevole riconosciuta da questi giocatori.
A proposito di ingranaggi disuniti, alle spalle del palcoscenico c'è una Società che da almeno tre mesi è un'accozzaglia di dirigenti che cercano una fetta di potere decisionale senza mai arrivare ad un trait d'union: a partire dalla gestione estiva di Icardi, a cui Ausilio non avrebbe mai concesso il rinnovo mentre dall'Oriente arrivava l'input esattamente opposto, per arrivare alla scelta dell'allenatore che alla parte italiana della dirigenza è andata di traverso fin dal primo giorno.
Uniti su niente e nessuno, ingolositi da un effettivo vuoto di potere in cui ognuno cerca di inserirsi alla ricerca del suo posto al sole vedendo il resto dell'impianto dirigenziale come una minaccia, o come una frangia distaccata che porta incidentalmente gli stessi colori.
L'Inter oggi è come lo slogan di quella parodistica gag sulla Casa delle Libertà in una trasmissione di tanti anni fa: "facciamo un po' come cazzo ci pare", concetto che vale dal Presidente con quota di minoranza che sceglie il corso tecnico tagliando fuori il resto del suo staff a uno come Eder che manca di rispetto all'allenatore in diretta TV rifiutando la stretta di mano.

Chiunque voglia ancora pensare che le cose non stiano effettivamente così è nascosto dietro ad un vetro sperando di non essere visto e rifiutandosi di vedere la situazione nel suo complesso, in cui può scendere ad allenare l'Inter pure Gesù Cristo in tunica e sandali, giocarsi due-tre miracoli nelle prime settimane ed arrivare infine alla resa dei conti con una Società che di fatto non esiste.
Non è una teoria senza riscontri, ma la storia degli ultimi 5 anni.

Io non ce l'ho una soluzione amici. A perdere continuamente, svogliatamente, inesorabilmente mi verrebbe perfino voglia di radere al suolo il club, ricominciare daccapo e fare le cose per bene.
Sono spettatore del cantiere di quella che dovrebbe essere casa mia e vedo che quando finiscono di mettere su i pali portanti, arriva qualcuno a dire che in realtà i pali vanno messi un metro più in là e butta giù tutto; quando sono un metro più in là arriva qualcun altro a dire che vanno messi cinque metri più in là e butta giù tutto; quando sono cinque metri più in là arriva qualcun altro a dire "guardate che stiamo costruendo un condominio, mica una casa" e butta giù tutto.
E io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni che il problema di base non sono né i pali portanti né il progetto su carta, bensì l'assenza totale di fondamenta su cui poggia tutta la struttura.
Io lì, fuori da quel cantiere a vedere da anni una data di fine lavori che continua ad essere corretta e posticipata sempre un anno o due più in là, sempre lì a vedere solo ed unicamente il punto zero senza mai arrivare ad un punto uno, sempre lì a dover ascoltare perplesso chi sta nella mia situazione e mi parla di come arredare una casa che non esiste.


Forse ho alzato bandiera bianca, forse non sono più in grado di costruire un'analisi di una realtà frustrante a cui si aggiunge la frustrazione di vedere gente incapace di viaggiare sulla lunghezza d'onda di un progetto unico e condiviso.
Mi allontano dal cantiere pensando alla casa che poteva essere e non sarà, poco dietro di me l'ennesimo capo cantiere, di nome Frank, è stato rimosso dall'incarico e mi guarda cercando una risposta.


Vai a costruire la tua casa solida e funzionale altrove, Frank, hai tutte le capacità per farlo.

Non qui, non adesso, non così.
Se mai riusciremo ad avere un tetto di nome Inter sulla testa, magari quel giorno ti inviteremo a cena ricordando assieme quei tempi in cui ti ordinarono di costruire in due mesi una cattedrale su una discarica.


mercoledì 26 ottobre 2016

Ci meritiamo una Società




Ma chi accidenti comanda all’Inter?
La domanda mi perseguita da ormai dieci giorni e mentre la risposta continua ad essere latente, la squadra continua a giocare partite senza capo né coda e non c’è tregua da un calendario che ci mette nelle condizioni di andare alla berlina ogni tre giorni.
Dal giorno di ordinaria follia alla settimana di dolce fare niente, almeno in funzione alla stabilità della baracca in mezzo alle scosse sismiche provenienti da ogni dove, il passo è stato breve e siamo arrivati al solito vecchio bivio: cambiare allenatore o non cambiare allenatore?
Il saldo della classifica è in forte deficit e se fossimo fermi agli anni ’90 probabilmente non ci sarebbero dubbi sul da farsi, eppure in questi giorni il tifoso medio dell’Inter sta per la prima volta unendo con decisione i puntini che la gestione sportiva del post triplete ha lasciato per strada; il disegno che ne viene fuori è inequivocabile e dice tra le righe che ci meritiamo una Società, se veramente vogliamo arrivare ai successi che si addirebbero al nostro blasone ed albergare nelle zone nobili per più di qualche settimana.

Se non fossero bastati gli 8 tecnici transitati in 6 anni, la situazione in cui siamo finiti con tutte le scarpe smaschera senza alcuna pietà l’andamento di una Società del tutto evanescente nelle cose veramente importanti della gestione sportiva; mi inquietano in particolare le troppe zone di grigio presenti nelle sfumature di una dirigenza in cui dall’esterno non è chiaro chi faccia o debba fare cosa.
Prendiamo ad esempio Ausilio: ufficialmente lui è un DS, quindi ciò di cui dovrebbe rispondere è soprattutto il mercato e la rappresentanza della squadra nei rapporti tecnici con altri club, ma nella realtà dei fatti è l’uomo che con i media cerca di barcamenarsi nel rispondere dei problemi che vengono a galla nella Società per i più disparati motivi. In più, una buona parte della strategia nell’ultimo calciomercato è stata tolta dal suo controllo in vece di Kia Joorabchian che ha curato ad esempio con dovizia di dettagli tutto l’affare che ha portato Joao Mario all’Inter.
Perché succede questo? Semplice, perché l’Inter non ha un Direttore Generale che risponda all’esterno dei vari problemi che iniziano con la gestione sportiva e sconfinano in un ambito estremamente più aziendale. Michael Bolingbroke, che dell’Inter è Amministratore Delegato(CEO) da diverso tempo è in questo senso un fantasma: leggiamo una volta ogni due-tre mesi, da testate quasi sempre estere, dichiarazioni su quanto siamo bravi a beccare sponsor in giro e di quanto la nostra gestione economica sia in continuo miglioramento, ma sulla gestione sportiva che dovrebbe rappresentare il Core Business di una Società come l’FC Internazionale Mr. Bolingbroke è completamente assente.
L’altra carica che potrebbe sconfinare in compiti da DG, il Chief Operating Officer, è ricoperta da Alessandro Antonello che in termini di rappresentanza pubblica non è mai esistito e sospetto peraltro che una buona percentuale di tifosi dell’Inter nemmeno sa che esiste.
Così è Ausilio a dover fare il DG ad Interim senza avere ancora maturato la preparazione ed il pragmatismo che necessita un ruolo di questa caratura, con gli effetti nefasti che abbiamo ad esempio visto nella gestione dell’ultimo caso Icardi.
Rifletteteci un attimo: quanti di voi sanno che faccia ha il DS della Juve Paratici senza aiutarsi con Google Immagini? Uno come Paratici, ad esempio, non si vede e non si sente se non in collegamento alla sua area di responsabilità (il mercato), con il resto del “lavoro sporco” assegnato al DG ed AD Giuseppe Marotta che invece il pubblico conosce alla perfezione.
Quindi delle due l’una: o Ausilio viene promosso DG o torna a fare il DS nominando un CEO che sia in grado di fare il CEO a 360°. Niente zone di grigio, niente improvvisazione: ciò che dovremmo riconoscere in ogni Società internazionale di questa caratura.

Alessandro Antonello, Chief Operating Officer dell'Inter: quanti di voi sapevano che faccia avesse?

Giovanni Gardini, Chief Football Administrator dell'Inter: quanti di voi hanno capito le sue competenze?
A proposito di sfumature, due grandi misteri aleggiano nel board nerazzurro: Javier Zanetti, che non ha alcuna formazione da dirigente, viene spesso imbeccato dalla telecamera a parlare in nome e per conto dei vertici societari: perchè? Sappiamo che è vice-Presidente, ma sappiamo anche che il suo ruolo deve essere di mera rappresentanza e/o vicino alle dinamiche del campo di cui dovrebbe conoscere più o  meno tutto, soprattutto all’Inter. Quali sono dunque le sue responsabilità? Quale la sua “mission”? Mistero, almeno per me.
Parlando di misteri, mi viene spontaneo pensare a Giovanni Gardini: lui è il “Chief Football Administrator”, una carica che per quanto ne so esiste solo all’Inter.
Gardini si presenta a marzo, rilascia alcune dichiarazioni alla conferenza stampa di presentazione, dopodiché sparisce nell’anonimato più totale a livello di rapporti mediatici e di risonanza pubblica nel rappresentare l’Inter.
Se pensiamo che questo ingresso negli intenti andava a sostituire quello di Fassone, il mistero aumenta: abbiamo un Chief Executive Officer, un Chief Operating Officer, un Chief Football Administrator e nessuno dei tre sembra avere alcuna responsabilità da prendersi quando le cose nella gestione sportiva iniziano a girare per il verso sbagliato.
Thohir saluta De Boer nel giorno del suo arrivo: dov'è ora il Presidente dell'Inter?
Ecco qua la parola chiave di tutta la vicenda: Responsabilità.
Responsabilità, quindi rischio, dovrebbe essere normalmente la priorità di qualunque carica presente in organigramma; all’Inter la storia degli ultimi 6 anni dice invece che la Responsabilità, quindi il rischio, legata all’intera gestione sportiva grava interamente sulle spalle dell’allenatore di turno.
Diventa così evidente il fatto che anziché cercare di prevenire i fulmini, si preferisce farli cadere costantemente usando l’allenatore come parafulmine; questo ruolo è stato svolto per diverso tempo da Mancini il quale però ha preteso che in cambio dell’assunzione di un rischio che non doveva essere completamente suo, avrebbe dovuto altresì avere un ruolo decisionale di un certo peso nell’ambito della gestione sportiva (leggi calciomercato). Un concetto che ci potrebbe anche stare in senso logico, ma che non ne ha alcuno sul piano aziendale: il dirigente è il dirigente, l’allenatore è l’allenatore. Altre zone di grigio che a un certo punto hanno imposto di essere trasformate in bianco o in nero da Thohir, che ha scelto la versione scura, mettendo la firma in calce sulla tardiva transizione che ha portato De Boer nel ruolo che ricopre ora.
Ora che le cose nella gestione sportiva vanno male, dov’è Thohir? Non certo fianco a fianco con l’allenatore da lui scelto nonostante la quota minoritaria all’interno dell’Inter, lui che in questo momento riesce ad essere Presidente ed a mantenere lo stesso peso decisionale nonostante il suo rischio d’impresa sia notevolmente diminuito nella transazione con Suning. L’ennesima anomalìa che presenta il conto dei suoi effetti negativi quando ci sono da superare gli ostacoli, l’ennesima zona di grigio che permette di scaricare l’assunzione di responsabilità nel momento in cui è inevitabile farlo.


De Boer all’interno dell’Inter è un uomo solo, come a suo tempo lo furono Mazzarri, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni e via dicendo. A loro l’ingrato compito di presentarsi in tv dopo una sconfitta a scusarsi con i tifosi ed ad asserire, velatamente o meno, che in fondo era tutta colpa loro.
Alla luce di questo desolante background vi chiedo, amici nerazzurri: come potremmo vedere in campo qualcosa di diverso? Come potremmo aspettarci una squadra coesa ed unita nel momento in cui questa squadra vede l’esatto contrario da parte della propria dirigenza?
A Bergamo De Boer l’ha detto chiaramente, in campo alcuni volevano fare una certa cosa ed altri volevano fare l’esatto contrario: ecco perché la nostra impressione quando rotola il pallone è che questa squadra si conosce da cinque minuti e non da almeno un anno e mezzo, con l’eccezione delle partite tipo Inter-Juventus in cui le motivazioni sono sufficientemente ampie da nascondere per 90 minuti i problemi atavici che attanagliano il contesto Inter e di cui l’allenatore di turno è da sempre ostaggio.
Ecco perché poi arriva il Miranda di turno a smentire pubblicamente l’allenatore di turno sulle idee di gioco, perché c’è qualcuno alle spalle che gli consente di farlo: quando ognuno sente di potersi prendere qualunque libertà, in qualunque contesto di lavoro, normalmente la prima cosa che viene a mancare è l’impegno ed i risultati di tutto ciò sono sotto i nostri occhi.


C’è però una variabile importante in tutto questo: i tifosi hanno iniziato a capire con molta chiarezza che se transitano 8 allenatori in 6 anni il problema di fondo non è l’allenatore.
Hanno iniziato a capire che nella distribuzione delle colpe va allargata la visuale e coinvolto chi ha la responsabilità di mettere la squadra nelle condizioni giuste per poter essere o diventare una squadra.
Hanno iniziato a capire tutto questo proprio perché, complici la lunga epopea del Fairplay finanziario ed i due passaggi di consegne societari con annesse dichiarazioni sui piani aziendali, la Società stessa li ha messi nella condizione di ampliare il proprio range di informazioni non limitandosi più a guardare la partita, ma andando anche a voler capire qual è il modello di business che l’Inter segue per tornare ad ambire a determinati traguardi.
E anche se nessun tifoso ha capito fino in fondo che direzione stia seguendo l’Inter, alla maggior parte di loro è ben chiaro che arrivati a questo punto la responsabilità delle loro frustrazioni sportive non può più essere una croce da scaricare addosso ad un allenatore la cui idea di calcio, soprattutto in Italia, richiede tempo, pazienza e qualche passaggio nelle asperità che stiamo testimoniando in queste settimane. Chiunque, ma dico chiunque, segua il calcio italiano anche nella maniera più superficiale possibile sapeva ad Agosto che prendere Frank de Boer equivaleva a piazzare una scommessa il cui cash- out non sarebbe arrivato prima di un tempo stimabile tra i 6 mesi e l’anno.
Oggi il motto dei tifosi è #IoStoConDeBoer e forse non perché lo ritengano il miglior allenatore dell’universo, ma perché pretendono che l’assunzione di responsabilità sia una cosa da prendere molto seriamente all’interno di una Società ambiziosa tanto quanto la sua tifoseria.

In parole semplici, la festa è finita: se nella stanza dei bottoni dell’Inter piace pensare ad un modello aziendale di tipo anglosassone, come mi è parso di capire, mettano in piedi una RACI chart che definisca in modo inequivocabile chi è responsabile, chi deve portare risultati, chi deve essere consultato e chi deve essere informato e che faccia tremare con veemenza le varie poltrone dirigenziali nel momento in cui le responsabilità vengono a mancare.
Non possono e non devono pensarci i tifosi, che alle soluzioni per la squadra pensano forse anche di più della stessa dirigenza.

Il messaggio deve risuonare forte e chiaro: ci meritiamo una Società.
La svolta vera e tangibile può iniziare solo da qui.

lunedì 17 ottobre 2016

Un giorno di ordinaria follia




Dopo due settimane di stacco, che mi ha visto in tutt'altre faccende affaccendato, mi incantava l'idea di tornare a scrivere di Inter e di analizzare passi avanti e passi indietro, vizi e virtù, scenari futuri e problemi attuali di tattica o di cose che comunque rimandano al campo.
Invece mi tocca dover commentare, con malcelato sgomento, un giorno di ordinaria follia a Tafazziland in cui nessuna delle parti in causa sembra aver capito il significato del concetto "fare il bene dell'Inter".
A prescindere da torto e ragione, la gestione del caso Icardi ricaccia al punto zero ogni bella parola spesa per una Società che sembrava aver trovato la sua identità e capacità di prendersi responsabilità e decisioni nel momento giusto. 

Tralasciando ogni commento sulla tempistica della Curva Nord nell'apparecchiare un pomeriggio tra il surreale e il grottesco, andando a cercare le ragioni di cotanta mobilitazione si trova un episodio risalente a un anno e mezzo fa che era già stato ampiamente chiarito e su cui Icardi nel libro incriminato ammette già il suo errore nel mettere esageratamente sul personale la questione e nell'effettuare esternazioni da malavitoso del Barrio. 
A mio avviso niente di così grave per cui dover organizzare tra la notte del sabato e il pomeriggio di domenica la fitta sassaiola dell'ingiuria ai danni del Capitano di una squadra che già aveva qualche problema di equilibrio da risolvere e che soprattutto la partita in casa col Cagliari la doveva vincere senza mezzi termini.
La Nord non ne fa una questione prettamente personale, perchè non cerca il confronto con la Società prima che il caso possa danneggiare gli sforzi collettivi verso la vittoria, ma spiattella ogni cosa su pubblica piazza creando nei fatti un problema molto serio a tutto l'ambiente che arriva alla partita con il Cagliari trapassato malamente da faide intestine, la cui lavanderia è il pubblico di ogni fazione ed estrazione che viene imbeccato da giornali, media, opinionisti. 
Figurati se questo parterre de roi si può far sfuggire l'opportunità di mettere i fiocchetti ad un caso che per una volta non deve essere architettato artificialmente, ma viene servito sul piatto d'argento.

Il risultato di tutto questo sul campo è desolante: l'Inter gioca in 10 perchè il bersaglio mobile Icardi non entra mai in partita, sbaglia malamente un rigore che in altra situazione avrebbe quantomeno centrato la porta, riceve l'applauso di conforto dei settori al di fuori del tifo organizzato e testimonia l'esultanza di chi ha perso la bussola e gode di un rigore (peraltro molto generoso) sbagliato da chi indossa i suoi stessi colori.
La Società che fa? Attraverso le parole di Zanetti avalla ed appoggia una situazione che altrove sarebbe materiale da psicanalisi, facendo intendere che ci vogliono provvedimenti per accontentare i tifosi.
Ma allora di quali tifosi parliamo? Dei 4000 che hanno trascorso il loro pomeriggio in assetto da battaglia contro il singolo fregandosene di tutto il resto o dei restanti 39mila che hanno invece trascorso un pomeriggio da sostenitori, incoraggiando la squadra senza creare una situazione di disturbo?
Urge creare una distinzione sia in termini che in fatti, se un decimo del pubblico presente per lo stesso motivo degli altri ha l'autorità di decidere per tutti cosa si deve o non si deve fare, creando peraltro un pericoloso precedente.
Cos'è cambiato rispetto a due anni fa, quando la Curva criticava il resto dello stadio che voleva fare la pelle a Mazzarri utilizzando concetti come "se noi vediamo un amico (riferito all'Inter, ndr) in difficoltà lo aiutiamo a respirare invece di togliergli l'ossigeno"?

A dare il colpo di grazie alla credibilità dirigenziale nei confronti di questa situazione, che avrebbe potuto essere già sgonfia alle due di pomeriggio leggendola dalla prospettiva del bene della squadra, un Ausilio che sugli schermi di tutta Italia ammette candidamente che non sa chi si doveva prendere la responsabilità di leggere un libro che la Società stessa ha promosso attraverso il sito e i canali social; un po' come se nella brochure di un prodotto lanciato sul mercato si facesse riferimento al fatto che il prodotto fa schifo e nessuno si accorga di mandare in stampa una bomba ad orologeria che finisce per svolgere la funzione contraria a quella di qualsiasi logica, d'immagine e commerciale.
Anche se il problema fosse il passaggio incriminato del libro, nel passaggio stesso si fa riferimento a un colloquio con la dirigenza dopo i fatti di Reggio Emilia (febbraio 2015) in cui si pronuncia l'infelice frase "porto 100 criminali argentini": dunque chi ha perso la memoria riguardo quella conversazione? E perché la punizione per Icardi non scattò nei tempi e nei modi giusti? Se si riteneva 20 mesi fa che l'episodio fosse grave tanto quanto lo si sta ritenendo adesso, perché Icardi ha ricevuto i galloni da capitano dopo quel fattaccio?
Bisogna prenderne atto: la Società non poteva e non doveva essere ignara dei contenuti del libro, soprattutto dopo tutto il background che si è creato con Icardi e moglie in estate.
L'autogol che infine premia il Cagliari a scapito di un'Inter che a quel punto era già da un pezzo con la testa fuori dalla partita, tra compattezza inesistente e lettura dell'allenatore ancora una volta discutibile, è la cartina tornasole di una folle domenica in cui tutti gli autogol che si potevano fare sono stati fatti.
Per tacere del post partita, a cui ho già alluso citando Ausilio, del raid sotto casa di Icardi con il velato placet societario, indegno di qualsiasi contesto sociale civilizzato e delle ulteriori dichiarazioni della Nord riportate da Calciomercato.com secondo cui "se ripubblichi il libro senza le pagine incriminate, ti perdoniamo".
Ma allora, fatemi capire: è una questione di onore o di Content Marketing?
E se poi Icardi dovesse obbedire e venisse perdonato, come la mettiamo con la fascia? Torna sul suo braccio, magari dopo aver preso atto che questa decisione se ritenuta necessaria andava presa in estate in autonomia?
Hai voglia a ciarlare dei 20 milioni di potenziali tifosi da raggiungere in Asia, se gli input decisionali poi devono arrivare da 4000 locali.


Dopo un giorno così in un'azienda normale di questa portata si fa una plenaria straordinaria, anche di notte se necessario, e si decide quale testa deve rotolare prima ancora che i giornali siano in edicola.
Ed è vero, vi comprenderò se mi direte "non venirci a raccontare/quello che l'Inter deve fare/ perché per noi niente è mai normale."
Concedetemi però la fermezza nell'asserire che qualcuno a prendersi la briga di raccontare quello che l'Inter deve fare, prima o poi, in questa Società deve necessariamente comparire.

lunedì 3 ottobre 2016

Incidente di percorso



Una partita come Roma-Inter è difficile da analizzare razionalmente, perché non ha avuto un solo tratto distintivo di una partita di Serie A, soprattutto di cartello.
Squadre lunghe, spesso sfilacciate, difese allegre e un risultato che avrebbe potuto venire fuori da un vastissimo range di possibilità, indirizzate dalla buona vena dei due portieri che hanno evitato il peggio più e più volte.
Sabato, per dire, ho avuto il piacere di seguire Bayer Leverkusen-Borussia Dortmund, big match di Bundesliga e dalla pioggia di occasioni che mi aspettavo è venuta fuori invece una partita tatticamente meticolosa soprattutto da parte dei padroni di casa: la partita italiana sembrava quella.

Roma-Inter ha in realtà smascherato diversi problemi che attanagliano entrambe le squadre, con la differenza che i giallorossi si portano a casa tre punti e potranno pensarci di meno.
A questo punto della stagione tuttavia rimango perplesso di fronte a chi mi parla di problemi di classifica:  sarà forse un problema avere il Milan sopra una giornata dopo essergli stati davanti a maggio per tre anni di fila, nonostante tutti i problemi incontrati? 

Sarà forse un problema guardare una classifica che al 2 ottobre ci vede a 3 punti dall'obiettivo secondo posto, quando nella scorsa stagione si riteneva possibile rimontarne 5 alla Roma all'alba di metà aprile?
Siamo talmente ossessionati dai numeri che qualcuno ha addirittura suggerito il catenaccio e contropiede per firmare in anticipo il compromesso di uscire dall'Olimpico con almeno un punto: per me è un potente e convinto NO.
No, perché andiamo da anni alla ricerca disperata di un'identità che mai negli ultimi 5 anni ha avuto contorni precisi e sacrificare ora lo stile identitario che si vuol dare, per prendere in cambio un punto a Roma alla settima giornata, è un ritorno ad una mentalità provinciale che non ci deve più riguardare.
No, perché se non passi dagli incidenti di percorso quando vai a confrontarti con i tuoi competitors non capirai mai come batterli soprattutto sul lungo termine. Abbiamo già visto lo scorso anno che gli schieramenti speculari all'avversario possono funzionare finché il gioco non viene capito da tutti, per ritrovarsi poi senza più certezze ed armi per ribaltare il corso degli eventi, con conseguenze nefaste.

Tutti voi siete in grado di dire immediatamente come giocano il Napoli di Sarri e la Roma di Spalletti, perchè il loro stile è sempre quello ed è rimasto immutato: io esigo che l'Inter, per il suo status e il suo blasone, sia in grado di affiancarsi a queste squadre con una sua riconoscibile identità e non che vi rinunci per prendere il pareggino che lascia tranquillo il tifoso solo perchè la classifica di inizio ottobre poi sarà più confortevole. 
Così è vivere alla giornata e navigare a vista senza sguardi sul domani e prima o poi arriva il momento in cui i compromessi stanno a zero perchè se sei l'Inter nessuno ti affronta a cuor leggero.
Ieri è andata male per tanti motivi che vedremo tra poco, ma nonostante le cose si stessero mettendo nel verso sbagliato fin dall'inizio, i nerazzurri non hanno rinunciato al pressing alto, a tenere il possesso e ad alzare gradualmente il baricentro durante la partita; insistere su determinati dettami senza condizionamenti di alcun tipo è una cosa che apprezzo, perché se la visione data da questi dettami è corretta la tanto ricercata "mentalità" vien da sé con il tempo.
Qui però finiscono le cose positive, impersonate soprattutto da Banega, che ho messo in saccoccia ieri sera. 
Come detto, queste partite a inizio ciclo sono soggette a scoprire i tuoi limiti ed a mettere bene in vista quale e quanta strada c'è ancora da fare.



Cosa c'è da sistemare per non restare a bocca asciutta come ieri sera?
Mi pare del tutto assodato che il grado di solidità del centrocampo oggi dipende dalla buona vena di Joao Mario: venuto meno lui, recuperato peraltro per miracolo, tutta la fase difensiva è stata disastrosa a partire da un Medel in confusione totale per finire nel naufragio del reparto arretrato in cui anche Miranda per una volta ha abbandonato la nave. Certamente il primo passo per diventare squadra è non dipendere dagli individui.
Seconda cosa, ma non meno importante: fare gol deve essere un mantra da ripetere ogni giorno come una preghiera. Oltre a non essere accettabile sbagliare gol a ripetizione in partite come quelle di ieri sera, non possiamo trovarci nella condizione che se non segna Icardi siamo in mano al Padre Eterno.
Perisic e Candreva dovranno trovare la chiave per essere più prolifici perchè il tasso di conversione di quanto si crea effettivamente deve necessariamente alzarsi. E chissà che Gabigol non torni utile da questo punto di vista.

Infine, il solito tema: il materiale su cui lavorare con chance di successo non comprende un buon 80% della panchina a disposizione anche ieri, De Boer è nel giusto a far giocare Jovetic se ritiene si sia allenato con serietà ma non può essere ripagato con la disattenzione e la leggerezza: i tradimenti dei rincalzi iniziano ad essere una fastidiosa costante.
A questo proposito è piuttosto urgente che Brozovic trovi il lume della ragione in mezzo alle varie parentesi di Instagram e social vari, in attesa di un sempre più necessario repulisti da iniziare a gennaio.

All'Olimpico abbiamo fatto tanta, troppa confusione ma voglio credere che la squadra abbia sbattuto contro i tanti ostacoli presenti sulla strada che porta ad essere un collettivo vero e riconoscibile, partendo da una situazione di eccessiva instabilità; voglio credere che Frank De Boer, ieri non esente da responsabilità sulla lettura della partita e certe situazioni come la difesa su palla inattiva, esca da Roma con un blocco di appunti pieno di nuovi apprendimenti per facilitare la ricerca della chiave giusta finalizzata al far girare sempre bene la sua squadra.
Io so che l'Inter non è solo quella vista contro la Juventus e non è solo quella vista ieri sera, sono solo due facciate di un nuovo edificio ancora in costruzione, dato che mi sembra abbastanza chiaro che del progetto precedente si vuol tenere poco.
La sintesi che resta in equilibrio tra le due versioni di questa squadra ci darà la continuità che al momento è difficile potersi aspettare senza incappare in almeno un incidente di percorso. Statene certi, da questo calderone qualcosa di gustoso e ben amalgamato alla fine verrà fuori.
Avanti Inter.

venerdì 30 settembre 2016

Zero

Teste basse, mani sui fianchi, sguardi spaesati, gente che cammina senza guardarsi: l'istantanea di Sparta-Inter è tutta qui



Di seguito il mio commento su Sparta Praga-Inter:






































Sì, il nulla. Inesistente come l'Inter ieri sera; loro non spendono energie, io non spendo tempo né parole.
Faccio anche quello che avrei gradito facessero ieri i protagonisti di cotanto scempio: stare zitti, possibilmente rispondendo con i fatti sfruttando un'occasione anche ieri gettata via nel peggiore dei modi, cioè fregandosene.
Non credo serva aggiungere nulla in termini concettuali, perchè zero farà sempre zero a prescindere da come lo moltiplichi.
Zero punti in classifica, zero voglia, zero gioco, zero alibi, zero tempo da spenderci sopra per me.
A Roma rifacciamo e possibilmente bene.
Avanti Inter.