Ma chi accidenti comanda all’Inter?
La domanda mi perseguita da ormai dieci giorni e mentre la risposta continua ad
essere latente, la squadra continua a giocare partite senza capo né coda e non
c’è tregua da un calendario che ci mette nelle condizioni di andare alla
berlina ogni tre giorni.
Dal giorno di ordinaria follia alla settimana di dolce fare niente, almeno in
funzione alla stabilità della baracca in mezzo alle scosse sismiche provenienti
da ogni dove, il passo è stato breve e siamo arrivati al solito vecchio bivio:
cambiare allenatore o non cambiare allenatore?
Il saldo della classifica è in forte deficit e se fossimo fermi agli anni ’90 probabilmente
non ci sarebbero dubbi sul da farsi, eppure in questi giorni il tifoso medio
dell’Inter sta per la prima volta unendo con decisione i puntini che la
gestione sportiva del post triplete ha lasciato per strada; il disegno che ne
viene fuori è inequivocabile e dice tra le righe che ci meritiamo una Società,
se veramente vogliamo arrivare ai successi che si addirebbero al nostro blasone
ed albergare nelle zone nobili per più di qualche settimana.
Se non fossero bastati gli 8 tecnici transitati in 6
anni, la situazione in cui siamo finiti con tutte le scarpe smaschera senza
alcuna pietà l’andamento di una Società del tutto evanescente nelle cose
veramente importanti della gestione sportiva; mi inquietano in particolare le
troppe zone di grigio presenti nelle sfumature di una dirigenza in cui dall’esterno
non è chiaro chi faccia o debba fare cosa.
Prendiamo ad esempio Ausilio: ufficialmente lui è un DS, quindi ciò di cui
dovrebbe rispondere è soprattutto il mercato e la rappresentanza della squadra
nei rapporti tecnici con altri club, ma nella realtà dei fatti è l’uomo che con
i media cerca di barcamenarsi nel rispondere dei problemi che vengono a galla
nella Società per i più disparati motivi. In più, una buona parte della
strategia nell’ultimo calciomercato è stata tolta dal suo controllo in vece di
Kia Joorabchian che ha curato ad esempio con dovizia di dettagli tutto l’affare
che ha portato Joao Mario all’Inter.
Perché succede questo? Semplice, perché l’Inter non ha un Direttore Generale
che risponda all’esterno dei vari problemi che iniziano con la gestione
sportiva e sconfinano in un ambito estremamente più aziendale. Michael
Bolingbroke, che dell’Inter è Amministratore Delegato(CEO) da diverso tempo è
in questo senso un fantasma: leggiamo una volta ogni due-tre mesi, da testate
quasi sempre estere, dichiarazioni su quanto siamo bravi a beccare sponsor in
giro e di quanto la nostra gestione economica sia in continuo miglioramento, ma
sulla gestione sportiva che dovrebbe rappresentare il Core Business di una
Società come l’FC Internazionale Mr. Bolingbroke è completamente assente.
L’altra carica che potrebbe sconfinare in compiti da DG, il Chief Operating
Officer, è ricoperta da Alessandro Antonello che in termini di rappresentanza
pubblica non è mai esistito e sospetto peraltro che una buona percentuale di
tifosi dell’Inter nemmeno sa che esiste.
Così è Ausilio a dover fare il DG ad Interim senza avere ancora maturato la
preparazione ed il pragmatismo che necessita un ruolo di questa caratura, con
gli effetti nefasti che abbiamo ad esempio visto nella gestione dell’ultimo
caso Icardi.
Rifletteteci un attimo: quanti di voi sanno che faccia ha il DS della Juve
Paratici senza aiutarsi con Google Immagini? Uno come Paratici, ad esempio, non
si vede e non si sente se non in collegamento alla sua area di responsabilità
(il mercato), con il resto del “lavoro sporco” assegnato al DG ed AD Giuseppe
Marotta che invece il pubblico conosce alla perfezione.
Quindi delle due l’una: o Ausilio viene promosso DG o torna a fare il DS
nominando un CEO che sia in grado di fare il CEO a 360°. Niente zone di grigio,
niente improvvisazione: ciò che dovremmo riconoscere in ogni Società
internazionale di questa caratura.
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Alessandro Antonello, Chief Operating Officer dell'Inter: quanti di voi sapevano che faccia avesse? |
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Giovanni Gardini, Chief Football Administrator dell'Inter: quanti di voi hanno capito le sue competenze? |
A proposito di sfumature, due grandi misteri
aleggiano nel board nerazzurro: Javier Zanetti, che non ha alcuna formazione da
dirigente, viene spesso imbeccato dalla telecamera a parlare in nome e per
conto dei vertici societari: perchè? Sappiamo che è vice-Presidente, ma
sappiamo anche che il suo ruolo deve essere di mera rappresentanza e/o vicino
alle dinamiche del campo di cui dovrebbe conoscere più o meno tutto,
soprattutto all’Inter. Quali sono dunque le sue responsabilità? Quale la sua “mission”?
Mistero, almeno per me.
Parlando di misteri, mi viene spontaneo pensare a Giovanni Gardini: lui è il “Chief
Football Administrator”, una carica che per quanto ne so esiste solo all’Inter.
Gardini si presenta a marzo, rilascia alcune dichiarazioni alla conferenza
stampa di presentazione, dopodiché sparisce nell’anonimato più totale a livello
di rapporti mediatici e di risonanza pubblica nel rappresentare l’Inter.
Se pensiamo che questo ingresso negli intenti andava a sostituire quello di
Fassone, il mistero aumenta: abbiamo un Chief Executive Officer, un Chief
Operating Officer, un Chief Football Administrator e nessuno dei tre sembra
avere alcuna responsabilità da prendersi quando le cose nella gestione sportiva
iniziano a girare per il verso sbagliato.
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Thohir saluta De Boer nel giorno del suo arrivo: dov'è ora il Presidente dell'Inter? |
Ecco qua la parola chiave di tutta la vicenda: Responsabilità.
Responsabilità, quindi rischio, dovrebbe essere normalmente la priorità di qualunque
carica presente in organigramma; all’Inter la storia degli ultimi 6 anni dice
invece che la Responsabilità, quindi il rischio, legata all’intera gestione
sportiva grava interamente sulle spalle dell’allenatore di turno.
Diventa così evidente il fatto che anziché cercare di prevenire i fulmini, si
preferisce farli cadere costantemente usando l’allenatore come parafulmine;
questo ruolo è stato svolto per diverso tempo da Mancini il quale però ha
preteso che in cambio dell’assunzione di un rischio che non doveva essere
completamente suo, avrebbe dovuto altresì avere un ruolo decisionale di un
certo peso nell’ambito della gestione sportiva (leggi calciomercato). Un
concetto che ci potrebbe anche stare in senso logico, ma che non ne ha alcuno sul piano aziendale: il dirigente è il dirigente, l’allenatore è l’allenatore.
Altre zone di grigio che a un certo punto hanno imposto di essere trasformate
in bianco o in nero da Thohir, che ha scelto la versione scura, mettendo la
firma in calce sulla tardiva transizione che ha portato De Boer nel ruolo che
ricopre ora.
Ora che le cose nella gestione sportiva vanno male, dov’è Thohir? Non certo
fianco a fianco con l’allenatore da lui scelto nonostante la quota minoritaria
all’interno dell’Inter, lui che in questo momento riesce ad essere Presidente
ed a mantenere lo stesso peso decisionale nonostante il suo rischio d’impresa
sia notevolmente diminuito nella transazione con Suning. L’ennesima anomalìa
che presenta il conto dei suoi effetti negativi quando ci sono da superare gli
ostacoli, l’ennesima zona di grigio che permette di scaricare l’assunzione di
responsabilità nel momento in cui è inevitabile farlo.
De Boer all’interno dell’Inter è un uomo solo, come a suo tempo lo furono
Mazzarri, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni e via dicendo. A loro l’ingrato
compito di presentarsi in tv dopo una sconfitta a scusarsi con i tifosi ed ad
asserire, velatamente o meno, che in fondo era tutta colpa loro.
Alla luce di questo desolante background vi chiedo, amici nerazzurri: come
potremmo vedere in campo qualcosa di diverso? Come potremmo aspettarci una
squadra coesa ed unita nel momento in cui questa squadra vede l’esatto
contrario da parte della propria dirigenza?
A Bergamo De Boer l’ha detto chiaramente, in campo alcuni volevano fare una
certa cosa ed altri volevano fare l’esatto contrario: ecco perché la nostra
impressione quando rotola il pallone è che questa squadra si conosce da cinque
minuti e non da almeno un anno e mezzo, con l’eccezione delle partite tipo
Inter-Juventus in cui le motivazioni sono sufficientemente ampie da nascondere
per 90 minuti i problemi atavici che attanagliano il contesto Inter e di cui l’allenatore
di turno è da sempre ostaggio.
Ecco perché poi arriva il Miranda di turno a smentire pubblicamente l’allenatore
di turno sulle idee di gioco, perché c’è qualcuno alle spalle che gli consente
di farlo: quando ognuno sente di potersi prendere qualunque libertà, in
qualunque contesto di lavoro, normalmente la prima cosa che viene a mancare è l’impegno
ed i risultati di tutto ciò sono sotto i nostri occhi.
C’è però una variabile importante in tutto questo: i tifosi hanno iniziato a
capire con molta chiarezza che se transitano 8 allenatori in 6 anni il problema
di fondo non è l’allenatore.
Hanno iniziato a capire che nella distribuzione delle colpe va allargata la
visuale e coinvolto chi ha la responsabilità di mettere la squadra nelle
condizioni giuste per poter essere o diventare una squadra.
Hanno iniziato a capire tutto questo proprio perché, complici la lunga epopea
del Fairplay finanziario ed i due passaggi di consegne societari con annesse
dichiarazioni sui piani aziendali, la Società stessa li ha messi nella
condizione di ampliare il proprio range di informazioni non limitandosi più a
guardare la partita, ma andando anche a voler capire qual è il modello di
business che l’Inter segue per tornare ad ambire a determinati traguardi.
E anche se nessun tifoso ha capito fino in fondo che direzione stia seguendo l’Inter,
alla maggior parte di loro è ben chiaro che arrivati a questo punto la
responsabilità delle loro frustrazioni sportive non può più essere una croce da
scaricare addosso ad un allenatore la cui idea di calcio, soprattutto in
Italia, richiede tempo, pazienza e qualche passaggio nelle asperità che stiamo
testimoniando in queste settimane. Chiunque, ma dico chiunque, segua il calcio
italiano anche nella maniera più superficiale possibile sapeva ad Agosto che
prendere Frank de Boer equivaleva a piazzare una scommessa il cui cash- out non
sarebbe arrivato prima di un tempo stimabile tra i 6 mesi e l’anno.
Oggi il motto dei tifosi è #IoStoConDeBoer e forse non perché lo ritengano il
miglior allenatore dell’universo, ma perché pretendono che l’assunzione di
responsabilità sia una cosa da prendere molto seriamente all’interno di una
Società ambiziosa tanto quanto la sua tifoseria.
In parole semplici, la festa è finita: se nella stanza dei bottoni dell’Inter
piace pensare ad un modello aziendale di tipo anglosassone, come mi è parso di
capire, mettano in piedi una RACI chart che definisca in modo inequivocabile
chi è responsabile, chi deve portare risultati, chi deve essere consultato e
chi deve essere informato e che faccia tremare con veemenza le varie poltrone dirigenziali
nel momento in cui le responsabilità vengono a mancare.
Non possono e non devono pensarci i tifosi, che alle soluzioni per la squadra
pensano forse anche di più della stessa dirigenza.
Il messaggio deve risuonare forte e chiaro: ci meritiamo una Società.
La svolta vera e tangibile può iniziare solo da qui.