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lunedì 27 novembre 2017

La forza dell'abitudine


Non ne potevo veramente più della retorica della Pazza Inter.
Come disse un giorno il bravo Giorgio Crico, la Pazza Inter è (o spero sia stata) un chiaro espediente narrativo per giustificare una marea di vittorie arrivate senza logica, a schemi saltati e dopo una partita il più delle volte compromessa da errori marchiani e scarsa attenzione: niente di più vero.
Non ne potevo più soprattutto perché una squadra pazza è una squadra inaffidabile e nel contesto di un campionato che ha degli obiettivi, questo è un problema che è stato troppe volte sdoganato da caratteristica nativa dell'Inter ed in accezione erroneamente positiva.

Bene: la Pazza Inter, se qualche entità divina vuole, ce la siamo levata dalle scatole. O almeno messa in naftalina per un terzo di questa stagione, che è già qualcosa.
L'Inter è cambiata, è diventata abitudinaria: nel male lo è stata spesso in questi ultimi anni, nel bene praticamente mai (no, gli 1-0 di Mancini versione 15/16 non erano la buona abitudine che pensavamo allora). Lo scrissi settimana scorsa, l'Inter 2017/18 con una media di due punti e mezzo a partita non è un caso: è il prodotto della sua nuova identità, fatta di pregi e di difetti che ai miei occhi iniziano ad essere qualcosa di seriale, qualcosa che gira intorno agli stessi fondamenti.
"Per la ripresa serve stabilità" è una delle massime che maggiormente ho letto quando si è parlato di come l'Italia dovrebbe uscire dall'interminabile crisi economica: ecco, credo che per l'Inter valga, o sia valsa, la stessa identica cosa.

La stabilità che parte dalla visione che i tifosi avevano alla vigilia di Cagliari-Inter: in un sondaggio che ho lanciato su Twitter, le centinaia di votanti hanno scelto l'opzione "Vittoria lacrime e sangue" anziché temere il crollo piuttosto che la trappola, senza peraltro credere alla vittoria facile.
Per me è stato un segno tangibile di come questa Inter stia iniziando ad essere inquadrata e contornata precisamente dal suo popolo: una squadra che non si può prevedere dominante in lungo e in largo, del resto non sembra affatto attrezzata per farlo, ma una squadra di cui ci si fida quando c'è da portare a casa il risultato.
Primo elemento ripetitivo, di cui credo faremmo volentieri a meno: le partenze contratte in casa delle squadre che giocano per la salvezza. E' accaduto a Crotone, a Verona, in parte a Benevento, soprattutto a Bologna.
Sarà il rossoblu della maglia, ma la prima mezz'ora dell'Inter alla Sardegna Arena mi è sembrato quasi un copia/incolla della prima frazione di gioco al Dall'Ara di due mesi fa: transizione horror, fasce vulnerabili, squadra schiacciata, centrocampo fagocitato dal corrispondente reparto avversario e la concessione all'avversario delle sue armi migliori (nel caso del Cagliari la profondità ed il lancio lungo a premiarla).
Oltre ad una super parata di Handanovic che ha riaperto per qualche minuto il fronte dell' "Inter salvata da Handanovic".

Pensate che follia: un portiere che para. 
Come se il vostro forno, sorpresa delle sorprese, cuocesse i cibi per la cena e voi, in un momento di chiaro blackout cognitivo, pensiate che il forno vi ha salvato la cena invece di avervela creata.
Questo del farci sorprendere dalle piccole nel loro campo è comunque un pessimo vizio che facciamo fatica ad abbandonare: è confortante il fatto che Spalletti sia sempre particolarmente reattivo nel capire ed agire, questa volta addirittura schierandosi a specchio con il Cagliari per contenere i sardi nel momento di massimo sforzo.

Poi ecco il secondo elemento di stabilità: l'Inter che va in vantaggio. 

Se una parte di voi si sentiva nelle viscere che il primo gol lo avrebbero siglato i nerazzurri, non c'è nulla di casuale: è successo sabato per la decima volta, solo tre invece le situazioni in cui è accaduto il contrario. 
E poco importa se il Cagliari avrebbe forse meritato maggiormente la prima marcatura, perché uno dei vantaggi dell'avere Mauro Icardi è il fatto che c'è sempre un'ottima possibilità che converta in gol la prima palla che gli capita tra i piedi.
Pensare che c'è chi si è fatto un nome ed un pubblico attraverso le invettive contro un giocatore che è già nella storia dell'Inter e della Serie A prima di aver compiuto 25 anni, la dice lunga sulla vergognosa epoca in cui siamo comunicativamente inseriti.

Ma tant'è, Icardi è un meraviglioso sovversivo. 
Gli si contesta di segnare solo con le piccole? Tripletta nel derby. 
Gli si contesta di non aiutare la squadra? Lui se la mette sulle spalle, la striglia dopo la più bella ora di calcio mai giocata negli ultimi 5 anni (Inter-Sampdoria), proprio sabato fa autocritica sulla prima mezz'ora dopo che la squadra ha conseguito il miglior rendimento parziale della storia nerazzurra.
Gli si contesta di non distribuire abbastanza i gol? Lui segna a tutte le squadre di A, eccezion fatta per il Benevento.
Gli si contesta di non segnare in trasferta su azione? Lui piazza la doppietta a Cagliari senza calci piazzati.
Spero che presto gli si contesti il fatto di non portare l'Inter in Champions, hai visto mai che diventi benaugurante.

Dal gol in poi, l'Inter di Cagliari ha sostanzialmente gestito la partita secondo il proprio ritmo e la propria volontà: nulla di sorprendente, visto che l'Inter è la sola squadra in Serie A assieme al Napoli che non ha mai perso un solo punto quando si è trovata in situazione di vantaggio.

Un'altra abitudine molto gradita: gestisce magari senza strafare, ma non si disunisce mai e mai stacca la spina troppo in anticipo a meno che le gambe non girino proprio più.
In base a quanto sopra, faccio molta fatica a star dietro a chi farnetica di fragilità psicologica alla luce di una squadra che non perde mai un punto quando conduce e ne recupera sempre almeno uno nelle poche volte che va sotto, oltre a constatare che sono già 14 le squadre del suo campionato rimbalzate all'ingresso quando hanno provato a fare bottino pieno sulla sua pelle.


Ogni tanto questa noiosa ripetitività di tendenze viene rotta da qualche inatteso coup de théâtre: ad esempio Brozovic, che normalmente ci mette un paio di mesi per entrare in partita, stavolta ci mette due minuti segnando un gol pure pregevolissimo.
Potenzialità da miglior giocatore del reparto e una discontinuità che oggi è delizia e domani e dopodomani è croce: questo sì, è un bel punto di congiunzione con la nostra storia che sembra debba necessariamente annoverare in ogni suo ciclo un giocatore di questo genere per darsi un senso.
Un altro colpo di scena, decisamente meno esaltante, è Skriniar che non fa miracoli tipo trasformare la banda di svagati lanzichenecchi versione 2016/17 in una difesa con i controfiocchi. Anzi, stavolta decide di farci vedere che ha una sua umanità quando Pavoletti (con un gran movimento, in verità) gli sfila alle spalle per movimentare un po' il finale.
Finale che ad ogni modo non sembra affatto destinare il canovaccio già scritto ad un destino diverso: i peggio cantastorie del pensiero italico romanzeranno il giorno dopo di VAR ad orologeria e di Cagliari castrato ingiustamente per levargli il vento del pareggio in poppa, ma la verità è che oltre ad essere il terzo gol di Icardi consentito da qualunque regolamento in auge (il perché può dettagliarvelo Il Malpensante.com) arriva in un momento in cui i sardi non stavano più facendo niente di niente e l'Inter stava gestendo esattamente come fatto nel doppio vantaggio. 

Il lampo di Pavoletti resta lampo che non scatena temporali e l'Inter, pensate un po', incassa il jackpot anche a Cagliari specchiandosi nelle sue piacevoli conferme di fine partita (Candreva indispensabile, Borja Valero centrale, Miranda sulla via del ritrovamento, Perisic incisivo ed Icardi diamante sempre più lucido) e nei suoi ripetitivi difetti dell'inizio (transizione inguardabile, distanze approssimative, centrocampo mai su di tono prima di una certa fase di partita).

Paradossalmente quella di domenica contro il Chievo diventa la sfida più difficile tra le ultime affrontate, non foss'altro perché manca l'elemento abitudinario più importante: la formazione, che per la prima volta in quasi due mesi non può essere confermata per almeno 10/11.
Toccherà sicuramente a Ranocchia, l'unico che ancora non ha avuto l'occasione di dare segnali di ripresa tra coloro che erano definiti, a ragion veduta, impresentabili in estate (parlo ovviamente di Nagatomo e Santon) e che invece hanno dato finora un contributo sicuramente sufficiente per prendere parte alla causa.
Toccherà molto probabilmente a Brozovic che definirei come avevo definito Stephane Dalmat tempo fa: un lancio di moneta incarnatosi in un calciatore. Può essere sole di luglio o eclissi lunare senza soluzione di continuità, se qualcuno sa prevederlo mi spieghi come fa.

Quella che spero di poter commentare lunedì prossimo potrebbe diventare la vittoria di Spalletti contro i demoni di una rosa cortissima e l'inaffidabilità di un parco riserve che fino ad oggi ha destato più di un dubbio sul proprio valore.
Ma anche loro, le riserve, con tutti i loro difetti sono parte di questa Inter.

Questa Inter, che vince con la forza dell'abitudine.
Questa Inter, che adesso forse non è più pazza ma sicuramente fa impazzire: di gioia chi la ama, di rabbia chi la odia.


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